Blog - Crediti


L'audio e i video © del Blog sono realizzati, curati e perfezionati da Lorenzo Doretti, che ha anche progettato l'intera collocazione.
L'aggiornamento è stato curato puntualmente in passato da diverse collaboratrici ed attualmente, con la stessa puntualità e competenza, se ne occupano Laura M. Sparacello ed Elisa Sori.

3 febbraio 2014

L'OSSERVATORE GENOVESE

In omaggio a quella che oramai è diventata un'abitudine ricopio qui il testo della mia rubrica sul "Corriere Mercantile", apparsa domenica 1 febbraio 2014. Chi legge il mio testo si renderà conto che esso esige qualche ulteriore chiarimento, che non potevo disporre nel testo stesso per problemi di spazio. Lo scriverò qui di seguito subito dopo la rubrica.


VISTO CON IL MONOCOLO

IL FASCINO ROMANZESCO DELLA "ROYAL NAVY"
Mi son chiesto tante volte perché l’Italia non disponga di un “patrimonio” di romanzieri che attingano, per la loro fiction, all’immenso patrimonio storico che il nostro paese ospita (fino ai romani ed agli etruschi!). Naturalmente ci sono molti esempi in materia, giallisti compresi, di scrittori del passato e del presente (penso al dilettantesco ma geniale Massimo D’Azeglio ed al suo “Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta”) che fanno proprio questo. Ma fuori di dubbio  manca una “scuola” che sfrutti sistematicamente il meccanismo di fondo. Tutto questo ce l’hanno invece gli inglesi. I quali dispongono, e vero, di una lingua ben altrimenti diffusa rispetto all’italiano ma anche di una straordinaria capacità di affascinare il mondo intero lavorando su capitoli specifici e “centralizzati” della loro storia. Penso a due scrittori di alto livello e d’immenso successo internazionale, entrambi specializzati nell’inventare delle saghe “divistiche” centrate su Ufficiali della “Royal Navy” durante il periodo delle guerre napoleoniche. Si tratta di C.S. Forester (Cecil Louis Troughton Smith, 1899-1966) e di Patrick O’Brian (Richard Patrick Russ, 1914-2000): il primo con gli almeno 13 romanzi del ciclo del Capitano Hornblower, il secondo con i 20 conclusi e il ventunesimo, incompiuto per la morte dell’autore, centrati sulla famosa coppia formata dal Comandante Jack Aubry e dal chirurgo e agente segreto Stephen Maturin. I due autori furono entrambi personaggi bizzarri (vite familiari convulse, identità mutate, O’Brian s’inventò anche una inesistente etnia irlandese). Ed entrambi danno prova di polso romanzesco, di un forte amor di storia e, soprattutto, di una straordinaria competenza su una navigazione regolata solo dai capricci del vento. Entrambe le saghe esigono un dizionario specialistico, che elenca in modo affascinante le centinaia di termini specifici indispensabili per la navigazione a vela. Ogni volta che rileggo ognuno dei due compio la stessa esplorazione terminologica: imparo i nomi degli oggetti, degli alberi e delle vele, per un attimo capisco e poi dimentico subito tutto. Il segreto degli inglesi è tutto qui: utilizzare la loro storia convulsa per farne straordinari tralicci di romanzo. E perché gli italiani no?


Nota di chiarimento
Mi pare evidente che, nonostante le 60 battute in più "rubate" alla collega Guglielmina Aureo del Mercantile, quel che ho scritto esige un ulteriore chiarimento. Nelle ultime righe del mio brano mi chiedo perché gli inglesi sappiano utilizzare la loro storia convulsa per farne tralicci di romanzo e noi no. É evidente che sono consapevole del fatto che la storia d'Inghilterra è da molti secoli una storia unitaria (semmai faticosamente divisa a momenti col Galles, Scozia e soprattutto Irlanda del Sud e del Nord). Mentre la nostra lo diventa soltanto a Risorgimento compiuto, o comunque consolidato, con la presa di Roma nel settembre 1870 e la sparizione dello Stato della Chiesa. Pertanto è impossibile, in questo senso, abbozzare paralleli fra le due nazioni. Un altro argomento unificante per l'Inghilterra è la secolare permanenza dell'Istituzione monarchica (è vero che ad un re gli inglesi hanno tagliato la testa ma la cosa accaduta diversi secoli fa, e cioè nel 1649 con Carlo I, mentre dopo di allora la presenza regia divenne sempre di più un elemento di sostanziale pacificazione, al di là di alcune evidenti turbolenze). Quindi è chiaro che la funzione decisiva della "Royal Navy" nella lunga lotta, alla fine vittoriosa, contro Napoleone nasce da strutture e presupposti che non possono essere paragonati con le strutture (e i presupposti) della storia italiana. Quel che volevo dire io, e forse l'ho detto goffamente, è che l'immenso patrimonio dell'Italia medioevale, su su fino al '700, non è stato scalfito se non in maniera occasionale come naturale "deposito" di romanzi storici...Penso ad un narratore popolare di alto livello come Rafael Sabatini che, se ha riservato i suoi motivi di maggior successo al mondo anglico ed a quello francese (si vedano "Captain Blood"e "Scaramouche") ha attinto anche nei suoi romanzi minori all'immenso passato di scontri e di lotte che è poi il riassunto stesso della storia italiana.
Ciò premesso mi pare giusto concludere il discorso riguardante Patrick O'Brian. Come è noto egli, morto nel gennaio del 2000 ci ha lasciato i venti complessi libri dove si narra la straordinaria saga marinara del Comandante Aubrey e del Dottor Maturin, chirurgo e Agente Segreto, e inoltre al momento della morte lasciò l'inizio di quello che sarebbe stato il ventunesimo romanzo della serie e cioè 65 pagine manoscritte ancora senza titolo. Anzi aveva già iniziato a battere a macchina quel che aveva scritto ed a rivedere il testo. Va detto che a leggerlo si prova una profonda tristezza per la scomparsa di un' autore straordinario ed un dolore specifico di fronte alla brusca rottura nel romanzo. L'ultima frase scritta da O'Brian è breve e incompiuta. E' una battuta tronca di un lungo colloquio con un importante ammiraglio, Lord Leyton . Essa dice: "Oh, suvvia, Milord", protestò Stephen, "Ciò che vi dite sembra..."La frase è rimasta incompiuta e tutto ciò che implicava per il futuro di Maturin è purtroppo rimasta nella mente dell'autore. Va detto che quest'ultima edizione dell'opera di O'Brian è particolarmente accurata. Nella versione italiana - “L’ultimo viaggio di Jack Aubrey”, Longanesi 2010 - i capitoli incompiuti occupano da pagina 9 a pagina 66. Successivamente, dopo gli abituali dizionari tecnico navali tipici di tutti i romanzi di O'Brian (e,  se è per questo, anche quelli di Forester centrati sul Capitano Hornblower) il libro contiene un amplissimo studio intitolato "L'impero del Mare" del professore Gastone Breccia. E' uno storico che insegna all'Università di Pavia ed è specializzato in rievocazioni di istituzioni e strutture militari. Qui in particolare egli per ben più di 200 pagine analizza meccanismi fondamentali (battaglia, duello, blocco, la caccia e la scorta, eccetera, della guerra navale fra fine del 1700 e gli inizi del 1800). Un secondo frammento è dedicato a "La Marina di Jack Aubrey" e cioè a "Gli uomini", "Le navi", "Le armi", e "La navigazione", oltre che ad un'ampia bibliografia. In questa seconda parte il lettore troverà una risposta a tutti gli interrogativi che si è posto leggendo i venti volumi della saga Aubrey-Maturin. Vale a dire tutti i temi che O'Brian ha evocato ed ai quali egli stesso ha cercato via via di rispondere: come poteva funzionare così bene una Marina, sempre soggetta alla furbizia politica dell' Ammiragliato ed alla disonestà dei fornitori, che consentì tuttavia all'Inghilterra di tener testa per vent'anni a Napoleone? Viene fuori la divaricazione fra gli ufficiali più numerosi del necessario ed i marinai, sempre in numero insufficiente, reclutati ferocemente con la cosiddetta "leva forzata". Ma balza anche in prima linea l'alto livello professionale dei quadri e la disperata dedizione al proprio dovere che alla lunga animava gli equipaggi e che consentì un vero e proprio capolavoro militare. In un mondo in certo senso feroce ma a modo suo equo dove i bambini di dieci-undici anni venivano avviati a bordo per essere trattati immediatamente come allievi ufficiali, vivendo nell'oscurità e nella promiscuità ma anche nella implacabile funzionalità della "Royal Navy". E' una lettura che ritengo dovrebbe interessare tutti quelli che si sono appassionati alle avventure del Comandante Aubrey e del chirurgo  (nonché Agente Segreto) Maturin.

Faccio presente che intendo rispondere al più presto ad alcuni degli interrogativi posti negli ultimi commenti che mi sono pervenuti.

3 commenti:

Rosellina Mariani ha detto...

Mi incuriosisce molto e penso che lo leggerò "L'ultimo viaggio di Jack Aubrey" . amo molto il mare e mi interessa in tutti i suoi aspetti.
Grazie

Enrico ha detto...

Mi piacque in TV "Le avventure di Horatius Hornblower il temerario" con Gregory Peck e al cinema "Master and Commander" con Russell Crowe e Paul Bettany nelle parti di Aubrey e del chirurgo (nel film non si intuisce sia un agente segreto).Mi colpirono al cinema gli ufficiali-bambini e dal suo scritto ho avuto esaurienti spiegazioni,non avendo letto i libri.Come sempre,grazie.

Rita M. ha detto...

Non amo particolarmente il genere "marinaresco": pur essendo un'appassionata ed instancabile lettrice, confesso di essermi annoiata perfino su "Narciso" e su "Tifone" del notevole Conrad.Comunque Forester e O’Brian mi mancano, per quanto mi siano familiari, grazie al cinema, i nomi di Hornblower ed Aubry.Grazie per l'input: rimedierò leggendo al più presto qualcosa scritta dai due autori indicati.