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15 giugno 2008

IL GAUCHO

LE PRIME DELLO SCHERMO

OLIMPIA

“Il gaucho”: il personaggio Gassman si trasferisce in Argentina


IL GAUCHO
- Italia –
Bianco e nero -
Anno: 1964
Regia: Dino Risi – Sogg.: Ettore Scola, Ruggero Maccari –
Scenegg.: Risi, Scola, Maccari, Tullio Pinelli –
Foto: Alfio Contini –
Mus.: Armando Trovajoli – Scenogr.: Ugo Pericoli –
Mont.: Marcello Malvestiti –
Interpreti: Vittorio Gassman (Marco Ravicchio),
Amedeo Nazzari (Ing. Marucchelli), Silvana Pampanini (Luciana),
Nino Manfredi (Stefano) e Maria Grazia Buccella, Annie Gorassini,
Nelli Panizza, Guido Gorgari, Sanchez Callaia,
Nora Carena, Aldo Vinello, ecc. –

Distr.ne
: Titanus

Sospinto dal successo ottenuto ne “Il sorpasso” e nei film che a quello han fatto seguito (“I mostri”, “Se permette parliamo di donne”, ecc.) il personaggio Gassman ha ora attraversato l’Oceano, approdando in Argentina. Dove appunto grazie a quei film è divenuto popolarissimo e (sia merito dell’affinità in idioma o della larga colonia italiana che vi risiede) inteso, a quanto pare, anche in quel che ha di più peculiarmente nostrano (e romanesco) nella deformazione satirica e parodistica.
Ormai, sia sa (e l’abbiamo scritto su queste colonne già diverse volte) Gassman è praticamente succeduto a Sordi nel disegnare una figura stereotipata ma significativa di italiano romanizzato, clamoroso ma inattendibile protagonista del “miracolo”, incerto fra l’onestà e la cialtroneria, pronto ad afferrare senza scrupoli occasioni mirabolanti che gli sfumano quasi sempre fra le dita; da Sordi si differenzia, fra le altre cose, per una venatura borghese (il suo personaggio tipico è sempre un “dottore” o quantomeno un goliardo invecchiato) assente nel Sordi più autentico e risentito, tutto astuzia e bulleria popolaresca.
Ma il personaggio, da solo non basta. Gli ci vogliono invenzioni continue di sceneggiatura e di regia (vedi la prima parte de “Il sorpasso”), altrimenti si rischia, come spesso accade appunto ne “il gaucho”, di cadere nel manierismo e nel macchiettiamo più facile e volgare, solo preoccupato di strappare risate alla platea. Si ride spesso e volentieri, in effetti, a vedere “il gaucho”; per contagio della scatenata e scaltrita, anche se facilona, concitazione di Gassman, e per via d’una certa venatura farsesca che scorre nel racconto, grazie al mestiere di Risi. Ma è un riso breve e riflesso, appena un’ombra di quel che avrebbe potuto essere ove il film avesse scelto la strada diritta della satura autentica e del racconto articolato, e non quella dello “sketch” a breve respiro e della divagazione di grana grossa.
Lo spunto iniziale è tuttavia abbastanza seducente. Una “missione” cinematografica romana di cinque persone, parte per presentare al Festival del Cinema di Buenos Aires, che si svolge, come si sa, in mezzo ad un fanatismo di pubblico, ormai sconosciuto in Europa, un film di produzione italiana. Il capo-missione, Marco Ravicchio, è un “press-agent” pasticcione, lascia a Roma moliti debiti e un’angosciata amante a far fronte ai creditori; in Argentina spera di farsi prestare molto denaro da un amico emigrato da anni a Baires, Stefano, e là, a giudicare dalle lettere, divenuto ricco sfondato.
Gli fanno corona una diva al tramonto, ma ancora battagliera, Luciana, due “stelline” belle e stupide senza rimedio ed uno sceneggiatore sinistrorso ed effeminato. In Argentina le cose vanno diversamente da quanto Marco pensava: Stefano, ritrovato, si rivela un fallito senza speranza, povero in canna e ansioso di ritornare in patria; del resto la “troup” è risucchiata, durante il periodo della permanenza, dal vigoroso entusiasmo di un emigrato miliardario e patriottico: l’ingegnere Marucchelli, che li bombarda di inviti, di feste, di doni, di pastasciutta, di canzoni napoletane e di entusiasmo nostalgico. Persi i soldi al gioco, sfumata la possibilità di farsi imprestar denaro dall’ingegnere, Marco farà ritorno a Roma con la sua comitiva lussuosa e scalcinata, ad affrontare pignoramenti e debiti. Luciana, dal canto suo, dovrà mettere una croce sopra l’illusione nata da un fugace “flirt” con un ricco argentino. Stefano resterà con la sua gualcita miseria a rimirare l’aereo che torna nell’irraggiungibile Italia. E l’ingegnere Marucchelli, atletico e sciovinista quanto credulone e distratto (Marco gli ha fulmineamente sedotto la moglie, fra una cosa e l’altra) si dirigerà spavaldamente ad accogliere un altro illustre italiano in arrivo: Celentano…
Grazie a Manfredi i rapporti fra radicchio e Stefano sono fra le cose più garbate del film, così come certi guizzi non eccezionali ma intelligenti di sceneggiatura (ad esempio l’incontro fra Gassman e l’automobilista romano interpretato da Francesco Mulè). Simpaticissimo il Marucchelli disegnato da Nazzari e sorprendentemente azzeccata la diva al tramonto, impersonata con spirito dalla Pampanini. Ma troppe sono le cose eccessivamente facili (la conferenza-stampa, ad esempio) o abborracciate. In più, malgrado il film sia girato in Argentina ed utilizzi, in certi ruoli, attori indigeni, si direbbe che gli manchi, negli accenti come negli sfondi (nonostante si vedano grattacieli, mattatoi, “gauchos” in vespa ed altre piacevolezze) l’autentica aria del paese.
Quella, per intenderci, che invece traspariva, tanto per restare nei termini dell’inevitabile raffronto Gassman-Sordi in certe sequenze di esterni svedesi de “Il diavolo” di Polidoro.

c.g.f. ("Corriere Mercantile", 12/10/1964)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

necessita di verificare:)

Anonimo ha detto...

quello che stavo cercando, grazie