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23 giugno 2008

STRAZIAMI MA DI BACI SAZIAMI


LE PRIME DELLO SCHERMO

Age e Scarpelli fra linguistica e fumetto

GRATTACIELO

STRAZIAMI MA DI BACI SAZIAMI
di Dino Risi

Italia/Francia - Technicolor Superpanoramico –
Anno: 1968 - Soggetto: Age e Scarpelli – Scenegg.: Age, Scarpelli e Dino Risi - Foto: Sandro D’Eva (Camera: G. Ciarlo) – Mus.: Armando Trovajoli - Mont.:Antonietta Zita – Scenogr.: Luigi Scaccianoce – Cast.: Gaia Rossetti Romanini – Interpreti: Nino Manfredi (Balestrino Marino), Pamela Tiffin (Di Giovanni Marisa), Ugo Tognazzi (Ciceri Umberto), E Gigi Ballista, Livio Lorenzon, Moira Orfei, Checco Durante, P. Tordi, F. Sormano, ecc. – Prod.ne: Edmondo Amati – Distr.ne: FIDA Cinematografica.

Regia: 6 – Scenario: 7 – Fotografia: 7 – Attori: 7 – Media voto: 7.

Nei primi trenta-quarante minuti del film – che sono i più scorrevoli e giocosamente azzeccati – si ha la netta impressione dell’esperimento tentato da Age e Scarpelli. Vecchie volpi della sceneggiatura comico-ironica nostrana, essi si debbono essere resi conto che la commedia farsesca all’italiana quale si era venuta affermando all’inizio degli anni ’60 fra il decadere del personaggio-Sordi e il sorgere del personaggio-Gassman, è ormai logora e stanca e mostra più strappi che tessuto (anche se ancora trova inaspettati sussulti di cassetta e si favor di pubblico, non certo di invenzione e di ritmo, come dimostra il clamoroso caso de “Il medico della Mutua”). Age e Scarpelli, del resto, se ne intendono, e sanno quel che fanno. Sono venuti insieme al cinema nel dopoguerra – coetanei, nati entrambi nel 1919 – dopo aver variamente razzolato nel giornalismo umorisitico quale allora andava di moda, e al cinema hanno dato copioni a non finire. “Arrivano i nostri”, “Totò a colori”, “Le signorine dello 04”, eccetera, tanto per citare qualche titolo indicativo della loro produzione più fragile; frettolosa e caduta; ma anche “Il bigamo”, “Nata di Marzo”, “I soliti ignoti”, “Il mattatore”, “Cinema d’altri tempi”, “Policarpo, ufficiale di scrittura”, “Il mafioso”, “La grande guerra”, “I compagni”, “Tutti a casa”, “La marcia su Roma”, “Il commissario, “ I mostri”, “L’armata Brancaleone”, per citarne qualcuno. Sempre ricchi di astuzia professionale, e non di rado pieni di invenzioni intelligenti e scorrevolmente ironiche. In sostanza, insieme a Sonego, a Scola e Maccari e pochi altri, sono loro che hanno fornito appigli, “gags” e personaggi a gran parte del cinema “di costume” non di rado volgare, ma a volte inaspettatamente tagliente e acuto, che è una delle caratteristiche della produzione nostrana degli ultimi quindici anni. Un cinema spesso tutto parlato, tutto verbale e battutistico, in gran parte letteralmente intraducibile in un’altra lingua, legato ad un certo gusto ironico, sospeso tra il “Marco Aurelio” e Longanesi, che nasce e si esplica all’interno di una certa generazione e di una certa Italia piccolo e medio-borghese.

In sostanza, come si diceva all’inizio, essi hanno fiutato il vento ancora una volta – come già hanno dimostrato di saper fare in passato – ed hanno schizzato qui una vicenda dolcemente parodistica, dove il sapore nasce proprio dall’uso dei personaggi fin troppo facilmente ovvi, che si presentano con cognome e nome e piangono vedendo “Il dottor Divago”.

Una contadina marchigiana ed un barbiere laziale che si innamorano, e poi si lasciano per un fatale equivoco, finchè, disperato e suicida fallito, la ritrova sposta a un sarto sordomuto: l’amore li riprende, i due tentano di ammazzare il marito inconsapevole e poi arrivano ad un lieto fine inattendibile assai, anche nella concitazione grottesca del racconto, e, a contrappunto, dal linguaggio che essi usano: un misto di derivazione fumettistica e di approssimazione burocratica, come la possono immaginare due illetterati. Finchè il gioco regge, ed è appunto la parte iniziale, il film, gioiosamente colorato come un fumetto rosa, si dipana con una cordialità ironica e giocosa del tutto inaspettati, e spesso assai gradevole. Poi la ispirazione si attenua e la commedia saporosa mostra la corda della farsa affrettata. Una analisi più accurata potrebbe meglio mettere in luce l’impasto linguistico spesso pungente di cui Age, Scarpelli e Risi (la sua opera da regista è, al contrario, estremamente generica) si sono serviti, mescolando tecnicismi gustosi (tutta la tiritera del Manfredi che elenca i vari tipi di tagli di capelli che è in grado di eseguire farebbe saltare dalla gioia un romanziere) e insonorite assurdità fumettistiche. Come tentativo non è riuscito, ma va tuttavia segnalato nel panorama complessivamente sconsolante del cinema leggero. Manfredi, a proposito, è bravo e si controlla senza strafare, quasi sempre; Pamela Tiffin dimostra quanto la disciplina americana e il doppiaggio italiano possano aiutare un’attrice, e Tognazzi, finchè la parte lo sorregge, è eccellente in un ruolo – appunto quello del sarto sordomuto e guarito “in extremis” – con movenze e trucco che ricordano a volte quelli di Harpo Marx.

Claudio G. Fava (“Corriere Mercantile”, 08/11/1968)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Un film a cui sono affezionatissimo! Davvero una gustosa recensione! Grazie Signor Fava!
"Creooolaaaahhh... dalla bruna aurelolaaaaahhh.... mi tormenta l'animaaaah... uno strano mal.... straziaamiii.. ma di baci saziamiiiii!!!"
Un film fatto di nulla e forse, proprio per questo, bellissimo e saporito!

Anonimo ha detto...

You write very well.