OLIMPIA
“Le bambole”: 4 EPISODI per Virna Lisi, Elke Sommer, Monica Vitti e Gina Lollobrigida
LE BAMBOLE - Italia –
Bianco e nero - Anno: 1964
1.) “La telefonata” - Regia: Dino Risi – Scenario: Rodolfo Sonego – Foto: Ennio Guarnirei – Scenogr.: Gianni Polidori – Mont.: Giuliana Bettola – Mus.: Armando Trovajoli – Interpreti: Virna Lisi (Luisa), Nino Manfredi (Giorgio), Alicia Grandet (Arminia) – 2.) “Il trattato di eugenetica” – Regia: Luigi Comencini - Scenario: Marcello Fondato, Ruggero Maccari – Foto: Carlo Montuosi – Mus.: Trovajoli – Mont.: Roberto Cinquini – Interpreti: Elke Sommer (Ulla), Maurizio Arena, (Massimo), Piero focaccia (Valerio) - 3.) "La minestra" - Regia: Franco rossi - Scenario: Sonego, Luigi Magni - Foto: Roberto Gerardi - Scenogr.: Polidori - Mus.: Trovajoli - Mont.: Giorgio Serralonga - Interpreti: Monica Vitti, Orazio Orlando, ecc. – 4.) “Monsignor Cupido” – Regia: Mauro Bolognini – Scenario: Leo Benvenuti, Piero De Bernardi – Foto: Leonida Barboni – Scenogr.: Polidori – Mus.: Trovajoli – Mont.: Cinquini – Interpreti: Gina Lollobrigida (Beatrice), Jean Sorel (Vincenzo), Monsignor Arcudi (Akim Tamiroff), ecc. – Prod. ne: Documento Film – Distr. ne: Columbia – V.M. 18 anni
Titoli di testa chilometrici per uno dei soliti film italiani ad episodi, che le catene di montaggio (!) di Cinecittà sfornano con una efficienza visibilmente lubrificata dai buoni incassi. Dicendo “uno dei soliti film ad episodi”, si è già detto tutto: belle donne svestite, palesi e pesanti allusioni sessuali, uno stento e triviale clima di avanspettacolo, un rivoltolarsi compiaciuto in un dialogo para-dialettuale, che è sempre pretesto e non mai strumento di indagine, e resta dunque un vezzo immotivato. Si sa, poi, che i films ad episodi (un tempo legati, generalmente, da una sorta di filo conduttore ideale) diventano sempre più gratuiti sicché tra uno e l’altro brano non v’è poi correlazione alcuna di contenuto, che non sia appunto quella (presumibilmente involontaria, almeno nelle intenzioni) d’una eguale debolezza verso il peggior tipo di cinema comico che sia stato di pensare e di confezionare. Se mai, come qui accade, il legame è formale, e meramente divistico.
Qui, appunto, ognuno dei quattro episodi è incentrato su un’attrice di largo richiamo divistico e costruito, più o meno su misura, per lei, con prevedibili variazioni erotico-farsesche di grana grossa. Stupisce, al più, di vedere le firme dei registi che si sono riuniti per dar vita ai quattro scadenti episodi. Da uomini come Franco Rossi (“Morte di un amico”, “Odissea nuda”, “Amici per la pelle”, “Smog”), Luigi Comencini (“Tutti a casa), Dino Risi (“Il sorpasso”), Mauro Bolognini (“Senilità”, “La viaccia”, “Il bell’Antonio”) si è ormai in diritto di attendersi qualche cosa di più che un immotivato ritorno al clima dei loro esordi (che anzi, si badi, per alcuni di essi si svolse con opere di ben maggiore impegno e di ben più onesta e decorosa fattura).
Due righe di trama, per ognuno dei quattro episodi (nei quali, ove più ove meno, si salvano solo le qualità propriamente “tecniche”; la fotografia, la scenografia, il montaggio). Ne “La telefonata” Virna Lisi, moglie verbosa e discorsiva, continua a rimandare la concessione dei suoi favori coniugali al marito impaziente, per proseguire una interminabile telefonata con la madre. Finchè il marito, stufo, si consola con una facile e formosa dirimpettaia. Un’ideuzza, ma svolta, con una pesantezza inescusabile.
Ne “Il trattatati di eugenetica” una bella ragazza nordica, scesa in Italia per avere un figlio da un maschio latino di forme perfette e di collaudata intelligenza, cede finalmente alla corta paziente e tradizionale di un brutto e onesto autista romagnolo (che è Piero Focaccia, molto più disinvolto di quanto ci si potesse aspettare).
“La minestra” è l’unico dei quattro “sketches” non esplicitamente “sessuali”: una moglie, esasperata dal marito scialbo e rozzo, e soprattutto dal rumore insopportabile che questi fa sorbendo la minestra, certa di farlo uccidere, ma si rivolge a sicari disonesti o incapaci e deve rassegnarsi a tenerselo per sempre, e sempre più sorbente e fischiante.
Finalmente, in “Monsignor Cupido”, un vago omaggio a Boccaccia è condotto attraverso la parafrasi di una novella del “Decameron”: sempre a Roma, durante in Concilio Ecumenico, l’astuta moglie di un albergatore riesce a risvegliare l’interesse del nipote gnocco di un monsignore collerico, raccontando a quest’ultimo che il giovanotto (in realtà timidissimo) l’insidia e la perseguita. Finchè quello capisce e si decide. Oltre che a mostrare la Lollobrigida spogliata, lo “sketch” serve a dimostrare come si possa utilizzare male un bravo attore come Akim Tamiroff, e quanto sia facile, nell’Italia odierna, far ridere il pubblico mostrando dei frati allocchi e dei preti di cattivo umore.
c.g.f. ("Corriere Mercantile", 19/02/1965)
1 commento:
quello che stavo cercando, grazie
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