AGGIUNTA A “LE RAGIONI DEL SUD E LE RAGIONI DEL NORD”
Ho dimenticato, a proposito dei rapporti fra il Nord e il Sud Italia, un particolare importante che riguarda le due ex capitali. Vorrei infatti ricordare che non solo Napoli è stata una vittima dell’unità d’Italia, perdendo, con i Borboni, anche le molte ragioni di fascinazione che le venivano dal suo status burocratico. Ma che l’altra vittima è stata Torino. Ancora più vittima, se posso dire così, perché mentre Napoli era sconfitta Torino era vittoriosa. Aveva partecipato in modo decisivo alla realizzazione dell’unità d’Italia, offrendo il denaro e molte vittime dei conflitti risorgimentali. E si vedeva rimeritata non con l’ampliamento delle sue competenze ma con l’aperto ripudio del suo antico passato savoiardo. In effetti, dal 1865 al 1870 la capitale venne strappata a Torino e temporaneamente trasferita a Firenze (dove gli abitanti rimasero terrorizzati dall’arrivo massiccio degli impiegati ministeriali i quali parlavano una lingua impermeabile ai Toscani che era il dialetto piemontese). Come è noto nel 1870 (20 settembre, breccia di Porta Pia) la tappa successiva fu Roma, a testimonianza dell’ossessione capitolina tipica di quel periodo storico, che ha contribuito in modo decisivo a modellare, con un immenso cambiamento urbanistico e antropologico, l’attuale immensa e potente città che condiziona in modo decisivo la vita italiana. Il trasferimento della capitale a Firenze fu all’origine di violente manifestazioni di piazza contro il governo che vennero represse quasi con ferocia (si veda quel che ho scritto prima a proposito degli interventi dell’esercito nella vita della azione): alla fine i moti costarono una trentina di morti e oltre centosessanta feriti. Varrà la pena di ricordare che il sindaco rifiutò la somma che era stata stanziata, a titolo di indennizzo, per il trasferimento della capitale. Mi pare che questo fatto vada ricordato: non solo Napoli, ma anche Torino ricevette un danno netto dalla “sparizione” della capitale, perdendo molte migliaia di abitanti. E qui bisogna avere il coraggio di guardare in faccia alla realtà. La città seppe coltivare la sua vocazione industriale che, a riprova della laboriosità dei Piemontesi, si era via via affinata. E verso la fine del secolo ebbe il colpo di coda dell’automobile. A coronamento di un largo interesse di borghesi e di alto-borghesi nel 1898 venne fondata la FIAT (dove significativamente la T finale è l’iniziale di Torino) che nel bene e nel male condizionò poi in modo decisivo la vita non solo della città ma dell’Italia tutta. E non è un caso che l’apertura, forzata dai politici, di filiali della fabbrica in giro per l’Italia (si pensi a Pomigliano d’Arco, Melfi e Termini Imerese) abbia intaccato il carattere originariamente torinese, nella sua mescolanza di efficienza e di durezza, della Società.
Mi sembrava doveroso formulare questa aggiunta al testo, senza la quale l’allusione al Risorgimento resterebbe forzatamente monca.
Ho dimenticato, a proposito dei rapporti fra il Nord e il Sud Italia, un particolare importante che riguarda le due ex capitali. Vorrei infatti ricordare che non solo Napoli è stata una vittima dell’unità d’Italia, perdendo, con i Borboni, anche le molte ragioni di fascinazione che le venivano dal suo status burocratico. Ma che l’altra vittima è stata Torino. Ancora più vittima, se posso dire così, perché mentre Napoli era sconfitta Torino era vittoriosa. Aveva partecipato in modo decisivo alla realizzazione dell’unità d’Italia, offrendo il denaro e molte vittime dei conflitti risorgimentali. E si vedeva rimeritata non con l’ampliamento delle sue competenze ma con l’aperto ripudio del suo antico passato savoiardo. In effetti, dal 1865 al 1870 la capitale venne strappata a Torino e temporaneamente trasferita a Firenze (dove gli abitanti rimasero terrorizzati dall’arrivo massiccio degli impiegati ministeriali i quali parlavano una lingua impermeabile ai Toscani che era il dialetto piemontese). Come è noto nel 1870 (20 settembre, breccia di Porta Pia) la tappa successiva fu Roma, a testimonianza dell’ossessione capitolina tipica di quel periodo storico, che ha contribuito in modo decisivo a modellare, con un immenso cambiamento urbanistico e antropologico, l’attuale immensa e potente città che condiziona in modo decisivo la vita italiana. Il trasferimento della capitale a Firenze fu all’origine di violente manifestazioni di piazza contro il governo che vennero represse quasi con ferocia (si veda quel che ho scritto prima a proposito degli interventi dell’esercito nella vita della azione): alla fine i moti costarono una trentina di morti e oltre centosessanta feriti. Varrà la pena di ricordare che il sindaco rifiutò la somma che era stata stanziata, a titolo di indennizzo, per il trasferimento della capitale. Mi pare che questo fatto vada ricordato: non solo Napoli, ma anche Torino ricevette un danno netto dalla “sparizione” della capitale, perdendo molte migliaia di abitanti. E qui bisogna avere il coraggio di guardare in faccia alla realtà. La città seppe coltivare la sua vocazione industriale che, a riprova della laboriosità dei Piemontesi, si era via via affinata. E verso la fine del secolo ebbe il colpo di coda dell’automobile. A coronamento di un largo interesse di borghesi e di alto-borghesi nel 1898 venne fondata la FIAT (dove significativamente la T finale è l’iniziale di Torino) che nel bene e nel male condizionò poi in modo decisivo la vita non solo della città ma dell’Italia tutta. E non è un caso che l’apertura, forzata dai politici, di filiali della fabbrica in giro per l’Italia (si pensi a Pomigliano d’Arco, Melfi e Termini Imerese) abbia intaccato il carattere originariamente torinese, nella sua mescolanza di efficienza e di durezza, della Società.
Mi sembrava doveroso formulare questa aggiunta al testo, senza la quale l’allusione al Risorgimento resterebbe forzatamente monca.
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