Blog - Crediti


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21 settembre 2010

Corrispondenza su Emanuele Filiberto

Il mio pezzo su Emanuele Filiberto ha provocato diverse missive inviate non al blog ma al mio e-mail privato (posso anche pubblicarlo qui: claudio.g.fava@village.it). Salvo un caso sono tutte persone che conosco da tempo: per uniformare la situazione ho aggiunto fra parentesi il cognome laddove (ed è la maggioranza delle volte) i mittenti avessero usato il solo nome proprio.
Nella maggioranza dei casi ho chiesto tempestivamente l’autorizzazione a pubblicare le e-mail nel blog. In ogni caso se gli autori non fossero d’accordo mi avvisino e provvederò a far togliere le lettere dal testo definitivo, conservato nel blog.
Per quello che riguarda i testi qui riportati, vorrei fare, nell’ordine, le seguenti osservazioni:



1)
Grande!
un saluto cordiale,
Angela Zamparelli

Ringrazio Angela Zamparelli, genovese che da molti anni lavora a Roma come regista a Radiodue, per il suo entusiasmo.


2)
Sulle propensioni omosessuali ho da qualche settimana una testimonianza diretta. Un signore conosciuto al bar mi ha raccontato di quando, lui cameriere al Savini, Umberto, sia pur accompagnato dalla favolosa Milly, indugiava a tastarlo mentre lo serviva e, infastidito dalla sua ritrosia, minacciò di farlo licenziare. Il suddetto preferì dare le dimissioni....
Lorenzo (Pellizzari)

Non so quanto sia attendibile, in una materia così delicata, la testimonianza di “un signore conosciuto al bar”. In ogni caso ci sono molti indizi in questo senso. Senza inoltrarmi nell’amplissima aneddotica riguardante la storia minore di casa Savoia, mi limiterò a ricordare che il marchese Falcone Lucifero, che fu ministro della Real Casa dal 1944 sino al referendum, racconta nelle sue memorie (fra l’altro di enorme interesse storico) che ad un certo punto ricevette, credo dalla Polizia o dal Ministero dell’Interno, un incartamento riservato frutto della sorveglianza esercitata da anni su Umberto. Senza neppure aprirlo Lucifero lo bruciò, non si sa se per estrema discrezione o per giustificata prudenza.



3)
Caro Claudio, grazie di allietarmi con i tuoi articoli in giornate in cui una cupa Rai, priva di teste come la tua , tendono a intristirmi.
Ma la tua grande capacità di raccontare mi fa tornare l'allegria e la voglia di combattere.
Un abbraccio
Rosellina (Mariani)

Rosellina è sempre troppo affettuosa e non so come ringraziarla.


4)
Caro Claudio, mi meraviglio che ti meravigli. Perché, a parte Gabriella, le altre due zie di Emanuele non mi pare che abbiano dato prova di comportamenti esemplari: Matrimoni con cugini, divorzi ecc. Ricordi la love-story di Titti con Maurizio Arena? I saluti alla folla da un balcone di Trastevere... Caro amico, io in questa Italia ho deciso di non stupirmi più di niente. La Televisione è ormai il moloch che ingoia tutto e, tragicamente, riesce a farcelo ingoiare. La dignità è un optional....
Un abbraccio forte
Lia (Volpatti)

Non mi meraviglio. Non è un caso che Maria Gabriella sia di altro parere. L’ho sentita io dichiarare in televisione che tutto risale alla madre di Emanuele Filiberto il quale, provenendo da una famiglia di industriali falliti, pensa solo al denaro. In quanto alla love story di “Titti”, mi ricordo ancora oggi il dolore e la stupefazione di una cassiera di un cinema di Genova che, quasi in preda alle lacrime, mi diceva: “Ma non può fare così! Lei che è la figlia del re”.


5)
Caro Claudio,
partecipo profondamente della tua delusione di fronte ai colpi di coda di questo paese ingrigito e imbarbarito anche nelle istituzioni e nelle persone che hanno rappresentato (o avrebbero dovuto farlo) una continuità storica, civile, sociale. Fosse solo colpa degli sgambettanti rampolli di casa reale. Ognuno ha i figli che si merita, ma dei nipoti proprio di rado si è responsabili...altre cose del nostro vivere sociale, della nostra tv (la tua tv), della nostra politica ma ancor più del nostro vivere quotidiano ci fanno e farebbero arrossire altrettanto se non più. Il fatto è che essere cittadini di un paese significa credere nel senso stesso dello stato, delle istituzioni a cui si è data fedeltà (talora giurando, talora solo credendoci) ed essere cittadini, io credo, significa ancor prima fare un atto di fede nell'intelligenza del prossimo. Che molto spesso si adopera in ogni modo per smentirci (hai notato quanti umani assomigliano ai pesci e che sfoggiano la stessa attonita espressione?), ma che esiste e vanta per fortuna infinite, luminose eccezioni. Come diceva San Paolo, la chiesa fin troppo spesso smentisce Gesù Cristo, ma nonostante sia fatta di uomini è più forte e più nobile dei singoli uomini. A cui è comunque concessa la redenzione. Chissà che una pur limitata folgorazione sulla via di Teulada tocchi un giorno anche a Emanuele Filiberto. Lo vedrei bene a ripristinare "Il fatto del giorno". Non sarà meglio di Bisiach, ma insomma...Un abbraccio serale,
Giorgio (Gosetti)

Ho conosciuto Giorgio Gosetti quando era ancora un giovane universitario che mi fece un’intervista alla Rai. Adesso, provenendo dal Mystfest di Cattolica, è da molti anni direttore, insieme a Marina Fabbri, di “Noir in Festival”, che è la più nota manifestazione italiana sul cinema e sul romanzo polizieschi. Giorgio è anche il Delegato Generale di “Venice Days”, cioè Giornate Degli Autori, una delle sezioni della mostra di Venezia.



6)
Gentile Claudio G. Fava (mi piacerebbe poi che mi svelasse la "G" per quale nome sta), sono appena rientrata da una assurda e più che sconcertante missione di "pace" in Afganisthan. L'inutilità di tante morti, l'assurdità della presenza dei contingenti, sarebbe argomento per una lunghissima discussione...Le interesserebbe aggiungere alla tristezza dell' inutile personaggio Emanuele Filiberto anche la triste consapevolezza di tante vite spezzate? Quando nel suo articolo parla di "rango" associato al nome di Milly Carlucci è una provocazione? Mi dispiace non essere d'accordo al suo ricordo di Umberto...io ricordo le Leggi razziali , ricordo mio nonno costretto a nascondere la sua identità e a celare la sua saggezza e cultura dietro un oscuro silenzio e anonimato! Umberto imbarazzato accanto a Hitler? Solo imbarazzato mi sembra poco e non assolutamente giustificabile!!! Filiberto è rientrato in Italia non dalla porta della cultura (ammesso che ne abbia), ma dalla parte meno nobile, cercando consensi da quegli italiani che guardano quei programmi spazzatura! La RAI è solo alla ricerca di ascolti. La RAI la ringrazio solo per avermi fatto conoscere Lei ed avermi regalato quel meraviglioso mondo che è il cinema d'autore!!!!
Affettuosamente
Rossella (Filippetti)

La dottoressa Filippetti è l’unica degli interlocutori che non conosco di persona. Deve essere (lo si desume dal testo della sua missiva) un personaggio particolarmente avventuroso, che ha passato 25 anni a Parigi come medico di laboratorio e che ora scopro essere di ritorno dall’Afghanistan. Per quello che riguarda le sue osservazioni su Umberto, le faccio osservare che lui con le leggi razziali non c’entra nulla. Se mai la colpa risale all’incomprensibile comportamento di suo padre, Vittorio Emanuele III, che accettò di controfirmare le leggi razziali, dimentico del fatto che era stato suo bisnonno Carlo Alberto ad avere concesso per primo la completa libertà ai valdesi ed agli ebrei (ci furono anche molti ebrei piemontesi nobilitati da casa Savoia, il che creò fra quelle comunità israelitiche e la famiglia regnante un legame particolare che rese ancor più dolorosa, se possibile, la spaventosa rottura del 1938). In questo senso il difetto di Umberto fu l’eccessivo ossequio agli ordini del padre, che dal canto suo (“I Savoia regnano uno alla volta”) non ebbe mai la minima intenzione di introdurlo al gravame del suo compito futuro. Pensi alle difficoltà che frappose alla sua abdicazione a favore del figlio, ormai nominato da due anni (grazie all’astuzia giuridico-partenopea di Enrico De Nicola) Luogotenente Generale del Regno, e quindi già in possesso di tutti i poteri reali, sostenendo che avrebbe accettato di farlo solo dopo essere tornato al Quirinale (in effetti avvenne ben due anni dopo, nel 1946, tanto è vero che Umberto fu soprannominato “Il re di maggio”). In ogni caso, ripeto, il problema non è lui, ma se mai suo padre, che resta un mistero. Per 22 anni, dall’assassinio di Umberto, (luglio 1900) alla marcia su Roma (ottobre 1922), egli fu un impeccabile sovrano costituzionale, estremamente sollecito nel rispettare le competenze del Parlamento. Una volta nominato Mussolini Presidente del Consiglio egli lasciò rosicchiare giorno per giorno lo Statuto concesso da Carlo Alberto e si avvalse tardivamente di una formalità procedurale, solo invocando il carattere decisivo del voto del Gran Consiglio del Fascismo il 25 luglio 1943. Basta sfogliare in diario di Ciano per trovare tante testimonianze sulla lucidità con cui il re seguiva il fluire degli avvenimenti politici, la manifestazione del suo odio per i tedeschi (che lui chiamava “quei brutti tedeschi”) e al tempo stesso sulla opaca rassegnazione con cui finiva per accettare il comportamento e le decisioni di Mussolini (l’opposizione più forte, in un certo periodo, fu quella contro l’istituzione, nelle forze armate, del grado di “Maresciallo dell’Impero”, grado che prevedeva due greche sulla manica e la formale eguaglianza fra il re e il duce). In senso stretto, aldilà di qualche battuta dialettale, egli non fu mai antisemita. E sull’argomento esiste una serie di testimonianze curiose. Laddove il Regio Esercito non doveva fare i conti con le strutture istituzionali del regime fascista le forze militari si astennero scrupolosamente dall’intervenire sul tema. Almeno nel caso delle regioni della Francia del sud occupate dall’Italia dopo l’armistizio del 1940. Io ho ascoltato una testimonianza di uno scrittore francese, ebreo polacco di origine, che quando lo conobbi era il segretario nazionale del P.E.N. club. Come molti israeliti francesi, appunto nel periodo fra il ‘40 e il’ 43, si era trasferito nel meridione appunto per approfittare della maggiore sicurezza garantita dalla presenza delle truppe italiane. Egli mi raccontò un episodio straordinario. Non so in quale anno di quel periodo la polizia francese, pur sempre legata a Vichy, operò una retata di ebrei conducendo gli arrestati nella sede della Polizia stessa a Nizza. Finché non arrivarono le truppe italiane che, con baionetta inastata, circondarono il palazzo e liberarono gli ebrei prigionieri. Il che significa che una nazione ove gli israeliti erano discriminati, poi li proteggeva all’estero. La qual cosa sembra difficile possa essere accaduta senza una pur tacita complicità del re, abituato da sempre ad un intenso rapporto con l’esercito. La cui impreparazione alla guerra gli era ben nota e ne rilevava acutamente i difetti rivelatori. Senza tuttavia, e qui sta la sua colpa, mai tradurli in atti decisivi.
Approfitto per precisare che la "G" è l'iniziale di "Giorgio". Suggestionato dall'esempio di tanti scrittori e giornalisti americani, forniti di "Middle Name"-penso, ad esempio, a "John P.Marquand"-ero rimasto affascinato da quell'iniziale a metà nome, l'ho usata nel primo articolo che ho pubblicato a vent'anni e non l'ho più abbandonata. Sono consapevole del fatto che, in un paese dove l'uso è meno diffuso di quanto non lo sia negli Stati Uniti, desti curiosità e quasi riprovazione. Una volta sono stato fermato per strada da un signore che senza neppure salutarmi mi disse con tono imperativo:"Cosa vuol dire la G?". "Giorgio" risposi io intimidito. "Bene, grazie" mi disse a sua volta. E se ne andò di scatto.


7)
Claudio, è sempre un piacere leggerti. Sai che da sempre ti stimo e condivido i tuoi punti di vista. E anche questa volta, da monarchico, non posso non essere d'accordo con te, repubblicano, soprattutto sul giudizio, positivo, che dai di Umberto II, grande uomo e nobile italiano. Che ha insegnato a tutti noi come preferire la pace alla guerra.
Un saluto affettuosissimo da
Luciano Garibaldi

Luciano è un vecchio amico e collega del Corriere Mercantile. Autore di molti libri di successo riguardanti in genere i risvolti in Italia della seconda guerra mondiale. Fra i tanti titoli vorrei ricordare “L’altro italiano” dedicato a quel personaggio straordinario che fu Edgardo Sogno fondatore della “Franchi”. “La guerra (non è) perduta”, centrato su un argomento dimenticato da tutti, e cioè il destino di quegli italiani, generalmente di famiglia nobile e che parlavano correntemente l’inglese, i quali dopo l’8 settembre accettarono di fungere da ufficiali di collegamento presso reparti britannici dell’Ottava Armata. . O, ancora, “La pista inglese sulla morte di Mussolini e la Petacci” oltreché “Maurizio e Ferrante Gonzaga”, sul caso non unico ma abbastanza inconsueto dei due marchesi del Vodice, padre e figlio, entrambi medaglie d’oro , anche se in due guerre diverse.

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