LE RAGIONI DEL SUD E LE RAGIONI DEL NORD
Non molto tempo fa ho pubblicato in questo Blog la lettera di un cardiologo napoletano, il Dottor Stanislao Napolano, molto pacata e ragionevole, che, pur senza nascondersi i grandi difetti civili della Napoli odierna, prendeva le difese del Sud d’Italia e del Regno delle due Sicilie.
A parte alcune argomentazioni curiose, che confesso di non aver mai udito sino ad ora (si pensi alla “vendetta” dell’Inghilterra a causa del problema dello zolfo siciliano), il resto della lettera mi sembra abbastanza lucido laddove si rende conto del disordinato atteggiamento napoletano nei confronti della vita di ogni giorno: […] perché Napoli è sporca, perché non vi sono vigili urbani per strada, perché nessuno rispetta le regole più elementari per un convivere civile, perché non vi è lavoro ne’ una possibile speranza di rilancio effettivo dell’economia, ecc. La presa di coscienza dello scrivente nei confronti della sua città è lucidamente spietata (si veda il pezzo dove egli scrive vedo i nostri concittadini fare i furbetti per le cose più banali, passare con il semaforo rosso, andare nei sensi vietati, parcheggiare dove uno vuole, ricordo che il famoso sindaco di New York, Giuliani, recuperò Harlem imponendo il rispetto delle regole più elementari, appunto quelle stradali.
Ho citato largamente il testo della lettera per dimostrare il grado di civiltà dello scrivente, il quale giustamente ricorda che sotto i Borboni Napoli era stata una grande capitale europea, in questa città si erano svolti conclavi, incontri fra imperatori, prese decisioni sui destini di vari e importanti paesi europei, Napoli era visitata dai più illustri uomini di cultura d’Europa.
Il raffronto fra il passato e il presente induce il Dottor Napolano a rendere in qualche modo responsabile l’invasione “piemontese” e l’avventuriero Garibaldi di un evidente decadimento. Tuttavia egli non sembra tener conto delle colpe degli uomini nell’evoluzione delle nazioni. Ad esempio si prenda il caso della forsennata immigrazione delle classi proletarie nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento verso le Americhe, del sud come del nord. Molti meridionali sono portati a vedervi il segno della oppressione “piemontese” che costringeva i più poveri a fuggire. In realtà il fenomeno ebbe luogo in tutta Italia. Milioni di settentrionali approdarono così in Argentina: si veda il caso dei genovesi che hanno fondato il “Boca Junior”, per non parlare dei piemontesi in Uruguay che avrebbero dato vita al “Peñarol” ispirandosi al dialettale Pinareul per Pinerolo. In quanto all’America del Nord se è vero che la maggioranza degli immigrati viene dal sud Italia ma è anche vero che gli oriundi settentrionali sono moltissimi (una volta un mio amico su un aereo in America conobbe un tizio che si presentò come “Segretario dell’associazione degli Italiani del Nord”!). E’ vero che di molte repressioni feroci effettuate nel sud dall’esercito italiano non si parla mai o se ne parla mal volentieri ma bisogna tener conto che l’intrusione violenta e sanguinosa contro i moti popolari era una tradizione militare nazionale rispettata anche nel nord Italia. Si pensi al massacro dei Genovesi portato a termine dai bersaglieri… Vorrei anche far osservare che l’adozione dell’unità da parte delle masse popolari meridionali fu esplicita: si veda l’uso del tricolore nelle feste religiose degli immigrati mentre non mi pare che qualcuno abbia issato la bandiera borbonica.
Evidentemente si tratta di un tema immenso, che deve tener conto delle risultanze storiche, spesso nascoste o rimosse, ma non può prescindere da un’ osservazione sul territorio motivata e articolata. E’ chiaro che la pubblicistica in materia è enorme. Mi limiterò a segnalare un ampio articolo pubblicato sul Corriere della sera del 4 settembre 2010 ad opera di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, gli autori de “La casta”. L’articolo riguarda il terremoto in Friuli nel 1976 e la testarda ricostruzione eseguita dagli abitanti che rifiutarono i paesi distrutti e resistettero al sisma come avevano resistito all’Austria. L’atteggiamento dei Friulani fu decisivo. Rizzo e Stella riportano le dichiarazioni dell’allora presidente regionale il democristiano Antonio Comelli, che fra l’altro dichiarò: “molti rinunciarono ai contributi statali. Chi aveva un danno non troppo grave si vergognava un po’ a chiedere soldi che magari servivano da altre parti”. Il contrario, continuano i due giornalisti, di quanto sarebbe accaduto pochi anni dopo in Irpinia con l’allargamento dei comuni colpiti: alla prima conta 36, all’ultima 687.
Potrei fare altre citazioni ma rimando alla lettura completa dell’articolo del Corriere della sera. Quel che voglio dire è che è sempre necessario tener conto dei comportamenti della gente e del contesto storico. Vi sono riflessi antichi che non vanno ne’ ignorati ne’ sottovalutati. Mi rendo conto che l’evocazione dei Friulani può avere carattere paradossale. Rizzo e Stella citano le parole scritte mezzo secolo fa dal toscano Gianfranco Piazzesi. Che riguardavano “un popolo di emigranti plasmati con sapienza dal parroco: fatti apposta dal buon Dio per rifornire le comunità nazionali di muratori, di carabinieri e di domestiche. Un popolo che risolveva molti problemi e non ne creava nessuno.”
I problemi qui evocati sono molteplici e non pretendo minimamente di esaurire l’argomento. Vorrei limitarmi a osservare che se da un lato l’esercito nazionale italiano, salvo che per quello che riguarda la scuola militare della Nunziatella, ha completamente ignorato le tradizioni dell’esercito delle due Sicilie, e quindi di quei fanti calabresi, che si erano battuti coraggiosamente contro i garibaldini, è anche vero che a modo loro le popolazioni del Sud hanno provveduto a correggere in parte l’errore. Si guardi il luogo di nascita degli ormai numerosi caduti nelle recenti missioni all’estero e si vedrà che si tratta in genere di meridionali. I quali, a modo loro, hanno corretto uno storico errore. Del resto và ricordato che sin dall’inizio l’esercito nazionale italiano si basò, per quello che riguardava gli ufficiali, su due grandi componenti regionali: quella piemontese e quella napoletana, proveniente appunto dall’esercito di Francesco II.
Claudio G. Fava
(Battute 6.237)
A parte alcune argomentazioni curiose, che confesso di non aver mai udito sino ad ora (si pensi alla “vendetta” dell’Inghilterra a causa del problema dello zolfo siciliano), il resto della lettera mi sembra abbastanza lucido laddove si rende conto del disordinato atteggiamento napoletano nei confronti della vita di ogni giorno: […] perché Napoli è sporca, perché non vi sono vigili urbani per strada, perché nessuno rispetta le regole più elementari per un convivere civile, perché non vi è lavoro ne’ una possibile speranza di rilancio effettivo dell’economia, ecc. La presa di coscienza dello scrivente nei confronti della sua città è lucidamente spietata (si veda il pezzo dove egli scrive vedo i nostri concittadini fare i furbetti per le cose più banali, passare con il semaforo rosso, andare nei sensi vietati, parcheggiare dove uno vuole, ricordo che il famoso sindaco di New York, Giuliani, recuperò Harlem imponendo il rispetto delle regole più elementari, appunto quelle stradali.
Ho citato largamente il testo della lettera per dimostrare il grado di civiltà dello scrivente, il quale giustamente ricorda che sotto i Borboni Napoli era stata una grande capitale europea, in questa città si erano svolti conclavi, incontri fra imperatori, prese decisioni sui destini di vari e importanti paesi europei, Napoli era visitata dai più illustri uomini di cultura d’Europa.
Il raffronto fra il passato e il presente induce il Dottor Napolano a rendere in qualche modo responsabile l’invasione “piemontese” e l’avventuriero Garibaldi di un evidente decadimento. Tuttavia egli non sembra tener conto delle colpe degli uomini nell’evoluzione delle nazioni. Ad esempio si prenda il caso della forsennata immigrazione delle classi proletarie nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento verso le Americhe, del sud come del nord. Molti meridionali sono portati a vedervi il segno della oppressione “piemontese” che costringeva i più poveri a fuggire. In realtà il fenomeno ebbe luogo in tutta Italia. Milioni di settentrionali approdarono così in Argentina: si veda il caso dei genovesi che hanno fondato il “Boca Junior”, per non parlare dei piemontesi in Uruguay che avrebbero dato vita al “Peñarol” ispirandosi al dialettale Pinareul per Pinerolo. In quanto all’America del Nord se è vero che la maggioranza degli immigrati viene dal sud Italia ma è anche vero che gli oriundi settentrionali sono moltissimi (una volta un mio amico su un aereo in America conobbe un tizio che si presentò come “Segretario dell’associazione degli Italiani del Nord”!). E’ vero che di molte repressioni feroci effettuate nel sud dall’esercito italiano non si parla mai o se ne parla mal volentieri ma bisogna tener conto che l’intrusione violenta e sanguinosa contro i moti popolari era una tradizione militare nazionale rispettata anche nel nord Italia. Si pensi al massacro dei Genovesi portato a termine dai bersaglieri… Vorrei anche far osservare che l’adozione dell’unità da parte delle masse popolari meridionali fu esplicita: si veda l’uso del tricolore nelle feste religiose degli immigrati mentre non mi pare che qualcuno abbia issato la bandiera borbonica.
Evidentemente si tratta di un tema immenso, che deve tener conto delle risultanze storiche, spesso nascoste o rimosse, ma non può prescindere da un’ osservazione sul territorio motivata e articolata. E’ chiaro che la pubblicistica in materia è enorme. Mi limiterò a segnalare un ampio articolo pubblicato sul Corriere della sera del 4 settembre 2010 ad opera di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, gli autori de “La casta”. L’articolo riguarda il terremoto in Friuli nel 1976 e la testarda ricostruzione eseguita dagli abitanti che rifiutarono i paesi distrutti e resistettero al sisma come avevano resistito all’Austria. L’atteggiamento dei Friulani fu decisivo. Rizzo e Stella riportano le dichiarazioni dell’allora presidente regionale il democristiano Antonio Comelli, che fra l’altro dichiarò: “molti rinunciarono ai contributi statali. Chi aveva un danno non troppo grave si vergognava un po’ a chiedere soldi che magari servivano da altre parti”. Il contrario, continuano i due giornalisti, di quanto sarebbe accaduto pochi anni dopo in Irpinia con l’allargamento dei comuni colpiti: alla prima conta 36, all’ultima 687.
Potrei fare altre citazioni ma rimando alla lettura completa dell’articolo del Corriere della sera. Quel che voglio dire è che è sempre necessario tener conto dei comportamenti della gente e del contesto storico. Vi sono riflessi antichi che non vanno ne’ ignorati ne’ sottovalutati. Mi rendo conto che l’evocazione dei Friulani può avere carattere paradossale. Rizzo e Stella citano le parole scritte mezzo secolo fa dal toscano Gianfranco Piazzesi. Che riguardavano “un popolo di emigranti plasmati con sapienza dal parroco: fatti apposta dal buon Dio per rifornire le comunità nazionali di muratori, di carabinieri e di domestiche. Un popolo che risolveva molti problemi e non ne creava nessuno.”
I problemi qui evocati sono molteplici e non pretendo minimamente di esaurire l’argomento. Vorrei limitarmi a osservare che se da un lato l’esercito nazionale italiano, salvo che per quello che riguarda la scuola militare della Nunziatella, ha completamente ignorato le tradizioni dell’esercito delle due Sicilie, e quindi di quei fanti calabresi, che si erano battuti coraggiosamente contro i garibaldini, è anche vero che a modo loro le popolazioni del Sud hanno provveduto a correggere in parte l’errore. Si guardi il luogo di nascita degli ormai numerosi caduti nelle recenti missioni all’estero e si vedrà che si tratta in genere di meridionali. I quali, a modo loro, hanno corretto uno storico errore. Del resto và ricordato che sin dall’inizio l’esercito nazionale italiano si basò, per quello che riguardava gli ufficiali, su due grandi componenti regionali: quella piemontese e quella napoletana, proveniente appunto dall’esercito di Francesco II.
Claudio G. Fava
(Battute 6.237)
1 commento:
Non c'entra niente con il post, ma volevo segnalarle l'uscita del volume dedicato al cinema di guerra scritto da Roberto Nepoti per Electa. Ne parla Paolo D'Agostini nel suo blog.
Cordiali saluti
Matteo
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