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2 settembre 2010

Un commento che mi è giunto a proposito del mio ultimo post, riguardante Ford e Spencer Tracy (si veda la mia risposta) mi ha consentito di ricordare che Divi e Vegeti non fu una rivista ma addirittura un festival. Inventato da me (sono molto orgoglioso del gioco di parole che lo anima e che riassumeva un fatto: ogni puntata implicava l’omaggio ad un attore o attrice del passato ed a uno od una del presente) fu organizzato da Castelnuovo Magra e da Sarzana e durò solo due anni. In uno dei cataloghi avevo scritto, appunto come omaggio ad un attore del passato, un pezzo su Spencer Tracy. Me ne ero completamente dimenticato (alla mia età capita di continuo) e me lo ha fatto ricordare il commento del lettore. Sono andato a rileggermelo ed ho impudicamente deciso di riportarlo alla luce e di pubblicarlo qui nel Blog. Il fatto che sia frutto di una pur piccola ricerca, di cui mi ero totalmente dimenticato, lo rende curioso. Perché è evidentemente frutto di un antico affetto che, vedendo un frammento de “L’ultimo urrà” , mi ha stimolato a scrivere un articolo. Evidentemente discutibile ma significativo.
Ho, dunque, pensato di ripubblicare qui il pezzo scritto su Spencer Tracy, visto che avevo dimenticato il fatto di essermi già occupato dell’attore. Il che evidentemente non è un omaggio alla lucidità del mio pensiero e della mia memoria ma è comunque testimonianza di un antico affetto.

(Testo scritto per il primo catalogo di Divi e Vegeti)
In certo senso è molto facile scrivere un abbozzo di prefazione e un inizio di introduzione che riguardi Spencer Tracy. Se c’è un “divo” tipico nella storia del cinema sonoro, non v’è dubbio che lui lo sia e lo sia stato per lungo tempo e per buona parte della carriera. Guardiamo i dati. Spencer nasce il 5 aprile del 1900 (Milwaukee, Wisconsin) e muore a Beverly Hills (L.A., California) il 10 giugno 1967, forse per un attacco di cuore causato da diabete e, presumo, dalla propensione all’alcol. Una vita non lunghissima, soprattutto secondo i criteri di oggi ma di una estrema operosità. Il suo cammino verso il mondo della recitazione (teatro e poi cinema) segue un percorso in certo modo ovvio, seppure suo proprio e personale. Per quel che riguarda il teatro si calcoli un buon decennio di scritture via via meno secondarie e per quel che riguarda il cinema si ricordi che lavora in quasi 80 film. E poiché qui comincia nel 1930 e termina nel 1967 – con “Indovina chi viene a cena ?”, lavorazione conclusasi poche settimane prima della morte” - praticamente ha una media di lavoro superiore a due film all’anno. Evidentemente è una media di comodo, giusto per riassumere un ritmo di vita professionalmente incalzante. Suo padre – dirige una ditta di autotrasporti - è cattolico e irlandese (nell’America di allora le due cose erano intrecciate e con un preciso peso specifico). La madre è di una famiglia più altolocata con radici protestanti americane ben più profonde (sembra che nella parte finale della vita si sia convertita alla Christian Science). Sin da piccolo Spencer è un bambino allegro, combattivo, spavaldo che ama fare a pugni, non ha voglia di studiare e deve di continuo cambiar scuola. Quando ha 14 anni diventa amico di un altro irlandese, che ha un anno più di lui e si chiama William Joseph O’Brien detto Bill. Spencer, fino a quel momento pessimo studente, apprende che Bill va alla Marquette Academy, una apprezzata scuola preparatoria di tipo militare legata ad una università di gesuiti, e lo segue. Fra la sorpresa generale Spencer comincia a studiare, e si interessa particolarmente di teologia (pensa perfino di farsi prete). Abbrevio. La scuola inaspettatamente lo aiuta: nel gennaio 1921 entra al Ripon College, dove professori intelligenti si accorgono delle sue qualità, il che gli consente di scoprire la recitazione e di apprendere che possiede doti naturali: bella dizione, memoria di ferro. Grazie al breve servizio militare nella Navy prestato durante la corta partecipazione USA alla prima guerra mondiale, ed alla “pensione” che gli viene assegnata, può fruire di un modesto aiuto governativo ed andare a New York, a frequentare, tirando la cinghia, una scuola d’arte drammatica, insieme a Bill O’Brien che, cambiando il nome proprio in quello ben più irlandese di Pat, si destinò anch’egli ad una fortunata carriera cinematografica. Sono gli anni in cui si formano le grandi amicizie: Spencer e Pat, insieme a James Cagney, Frank McHugh, Ralph Bellamy, Frank Morgan, ed occasionalmente altri ancora, daranno vita ad un gruppetto di amici a cui un giornalista, fra l’ironico e il malevolo assegnò il nome di “Mafia irlandese (“Irish Mafia”). Al di là degli indubbi rapporti di amicizia e di reciproca protezione, resta la significazione di quel che rappresentava un simile gruppetto di attori, famosi o destinati a diventarlo, nel mondo del teatro ed ancor più del cinema americano prebellico e successivamente postbellico. Un blocco etnico e spirituale, ove l’essere cattolici non era più ragione di discriminazione negativa ma se mai il riconoscimento di uno status sociale e umano omai consolidato (gli scandali della pedofilia erano di là da venire ). E anche, come dire, una sorta di involontario manifesto socio-etico, il viso sereno, spavaldo, al bisogno tenero o violento, di un’America rigorosamente bianca, piccolo e medio borghese, proletaria nei modi, conservatrice negli istinti patriottici, che contribuì al largo successo del cinema hollywoodiano dagli anni ‘30 agli anni ’50. Di quel cinema, muovendosi con un naturale facilità consentita solo da un talento fuori del comune, Spencer Tracy fu un’immagine risplendente, forse la più magicamente convincente in diversi decenni di storia del divismo cinematografico.
In effetti Spencer Tracy aveva alcune qualità rare, fra cui un talento strabordante. E tanto più rare quanto più difficili a definire. Come disse una volta a Garson Kanin James Cagney, grande amico di Tracy (poi ex-amico): “Spence è l’uomo più maledettamente difficile che abbia mai conosciuto. E’ il migliore. Oltre che l’attore più bravo. Hai mai notato una cosa ? Vai a una rivista o a un night, guardi quegli spettacoli di varietà in TV e c’è sempre qualcuno che viene fuori a fare imitazioni: Eddie Robinson (leggasi: Edward G. Robinson –n.d.r.), me, Bogie (Humphrey Bogart), Jimmy Stewart, John Wayne. Ma assolutamente mai Spence!Non ci provano nemmeno e sai perché? Perché non v’é niente da imitare, salvo il suo genio e questo non può essere rifatto”. In sostanza Cagney voleva dire che “Spence” era come ognuno e come tutti , vale a dire come ognuno dei suoi personaggi; e come tutti gli americani del suo tempo insieme, tanto era abile ad entrare immediatamente nei panni di chi doveva interpretare. Per 8 anni, dal 1922 al 1930, si fece le ossa in teatro, prima in provincia e poi a New York (nel 1923 recitò anche a fianco di Ethel Barrymore). Si rivelò poi nel 1930 con “The Last Mile” di J. Wexley, ove è a capo di una rivolta di carcerati. Viene chiamato a Hollywood, esordisce con un film , “Up the River”, ricordato soprattutto perché è diretto da John Ford e interpretato da Spencer e da Humphrey Bogart (fu per entrambi gli attori il film di esordio). Da quel momento egli inizia una galoppata strepitosa, terminata nel 1967 poche settimane dopo aver portato a termine ”Indovina chi viene a cena ?”.Per circa 35 anni Spencer pur con momenti di pausa e con diverse diversi periodi di minor successo, si cimenta con una serie di ritratti a tutto tondo ribadiscono la grande presenza di Hollywood nel creare miti piccoli e grandi della storia americana. Inizia con la Twentieth Century Fox ma nel 1935 riceve la completa consacrazione a divo passando – vi resterà per parecchi anni - alla Metro Golden Mayer. Nel 1936 è un sacerdote cattolico in “San Francisco” (rinvio alla filmografia presente nel catalogo per ogni indicazione d’anno, di regia, eccetera) ma nello stesso anno è il carcerato innocente ma spinto alla vendetta di “Furia”. L’anno dopo è un gentile marinaio portoghese in “Capitani coraggiosi” (primo Oscar) e l’anno successivo (secondo Oscar) è ancora per un sacerdote cattolico ne ”La città dei ragazzi” (più tardi Tracy confesserà che l’abito di un sacerdote cattolico era in certo senso l’”uniforme” che preferiva in assoluto in tutte le sue interpretazioni). Nel 1941 è Jekill e Hyde in uno dei più famosi , fra gli infiniti rifacimenti cinematografici del romanzo di Stevenson. Nel 1942 ecco “La donna del giorno” il primo film con Katharine Hepburn - ne interpreteranno complessivamente 9 – che è anche uno dei migliori della coppia segna il nascerei un rapporto sentimentale fortissimo che terminerà solo con la morte di Spencer. Il quale si era sposato, nel settembre 1923, con una collega di cinque anni più anziana di lui, Louise Treadwell, poche settimane dopo averla conosciuta. Quasi subito ebbero due figli (un maschio, poi una femmina) ed il primo, John, si rivelò sordo. Allora la madre abbandonò la recitazione e si dedicò con tutte le sue capacità a curare il, figlio (che doveva poi anche ammalarsi di poliolimielite ma è felicemente sopravissuto, si é sposato giovane ed ha avuto figli e nipoti). Di fatto di li a qualche tempo, Louise fondò una clinica specializzata, appunto la John Tracy Clinic, che esiste ancor oggi ed alle cui spese Spencer ha contribuito largamente. Da quando si sono conosciuti sino alla morte di Spencer questi e la Hepburn hanno vissuto insieme, per circa un quarto di secolo, ma lui non ha mai voluto divorziare e lo stesso ha fatto la moglie. Si dice che siano state le ferme convinzioni cattoliche di Tracy ad indurlo a comportarsi così, anche se rimane qualche perplessità per la sua condotta nei confronti di quella che evidentemente continuava a considerare la sua legittima consorte.
Andando avanti a rievocare la sua splendida carriera, ecco qualche altro titolo alla rinfusa: “Passaggio a nord ovest” , l’hemingwayano “Gente allegra”, “Joe il pilota”, “Mare d’erba“, “Lo Stato dell’Unione”, tipico film “presidenziale” di Frank Capra, “Il padre della sposa” e via via negli ultimi tempi alcuni dei titoli più robusti: ”La lancia che uccide”, “Giorno maledetto”, lo splendido ritratto di decadenza politica bostoniano-irlandese “L’ultimo Urrà” di John Ford, ancora da Hemingway “Il vecchio e il mare”, “..E l’uomo creò Satana (grande scontro anti e filo darwiniano fra Tracy e March, geniali mattatori di una hHllywoo scomparsa), “Vincitori e vinti”, ove Tracy disegna l’indimenticabile figura di un magistrato americano di provincia mandato in Germania a giudicare importanti personaggi nazisti. E poi il già ricordato “Indovina chi viene a cena ?”. Ove egli si congeda dalla vita e insieme dall’America “liberal “ a fianco di quella Katharine con cui ha condiviso la parte più operosa dell’esistenza.. E. come si è detto, film, alcuni dei quali di gran classe, grazie ai quali ha dati vita ad una delle più brillanti coppie del cinema amicano sonoro.
Un congedo splendido e malinconico venato d’allegria, che è la sua sostanziale eredità d’attore.
(battute: 9.666)


Claudio G,Fava

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