Vorrei precisare che non ho legami con i movimenti monarchici italiani. Anzi. Attingendo ai miei ricordi del passato, vorrei ricordare qualcosa che attinge ad un’Italia completamente scomparsa.
Nel 1946 durante la campagna per le elezioni del 2 giugno, dove erano in ballottaggio anche la monarchia o la repubblica, frequentavo la seconda liceo presso l’ istituto “Vittorino da Feltre”, che allora aveva sede a Genova in una traversa di Via XX Settembre (Via Maragliano) ed era tenuto dai padri Barnabiti. Ovvero l’equivalente medio borghese dell’ Arecco, tenuto dai Gesuiti, che era allora la scuola di elezione di tutta la classe dirigente dell’epoca (un ambiente fortemente controllato dai democristiani che si riconosceva in un prelato onnipossente, il Cardinal Giuseppe Siri). L’una e l’altra scuola sono ormai scomparse, a testimonianza della rivoluzione ormai compiuta nel mondo un tempo molto potente degli Ordini e delle Congregazioni cattoliche in Italia.
Ebbene nella mia classe al Vittorino ero l’unico apertamente repubblicano. Tutti i compagni di classe erano più o meno attivamente monarchici a testimonianza di uno schieramento di classe che allora divideva, spesso in modo rigido, la società italiana appena uscita dalla guerra. Per ribadire una notazione d’epoca vorrei citare qui una frase di mio padre, reduce il 2 giugno 1946 dalla sua visita al seggio elettorale dopo la faticosissima votazione per la Costituente e per la forma dello Stato. In un momento di subitanea sincerità mi disse:”Sai, al momento di votare per la monarchia o la repubblica mi ricordai di aver giurato fedeltà al re nel 1915 e di non poter tradire quel giuramento”. Dopo sessantaquattro anni arrossisco ancora al pensiero dello sguardo di commiserazione che gli rivolsi.
Mi pare doverosa questa precisazione viste le mie attuali reazioni di fronte all’incongrua presenza di Emanuele Filiberto di Savoia in alcune trasmissioni Rai. Penso al Festival di Sanremo, ed a quelle, recentissime, sulla elezione di Miss Italia. Io ne ho visto un pezzettino e mi è parsa insopportabile, ma credo che abbia avuto alti indici di ascolto. Non so perché Emanuele Filiberto abbia deciso di diventare un personaggio televisivo e perché la Rai glielo abbia concesso, anche se le ragioni dell’ “Auditel” sono in genere persuasive. Ma la gioia del principe nel trovarsi a fianco di Milly Carlucci era addirittura stupefacente, soprattutto per un personaggio che sin dalla nascita dovrebbe avere dimestichezza con persone di un certo rango. Debbo confessare che vedendolo (il meno possibile) sono stato colto da una grande tristezza e da un profondo senso di compassione nel ricordo del nonno. Riconosco che Umberto II ha avuto molte colpe personali, compresa l’eccessiva acquiescenza ai voleri del padre Vittorio Emanuele III (il quale, per fugare qualsiasi desiderio di indipendenza del figlio, disse in un’occasione: “ I Savoia regnano uno alla volta”). Fin troppo disciplinato durante il periodo fascista, (ricordo una sua imbarazzata apparizione mentre in tight faceva il saluto romano a fianco di Hitler durante le Olimpiadi di Berlino). Costretto dal padre a fuggire con lui al sud a bordo della corvetta “Baionetta”. Poi durante il periodo della cosiddetta Luogotenenza e in quello brevissimo, in cui fu re, fu obbligato a tenere il timone fra i mille impacci e le infinite contestazioni tipiche del periodo tra il 1944 e il 1946. Poi, ancora, visibile nelle numerose immagini di repertorio quando, nella sua antica divisa del Regio Esercito, passava in rivista i superstiti soldati del C.I.L., comandati dal generale Utili, i quali si avviavano al fronte a combattere i tedeschi nell’estate del 1944. E nelle sue apparizioni, con la moglie Maria Josè, le bambine e il piccolo Vittorio Emanuele, alla testa di quella che sembrava una famiglia felice e non lo era: immagini largamente sfruttate dalla propaganda dell’epoca. Poi ci fu la sconfitta del 2 giugno e Umberto che, pur contestando i risultati del referendum, abbandonò in aereo l’Italia in una sequenza tante volte riproposta dalla televisione: lui in abito borghese che sale sull’apparecchio con un largo sorriso spennellato sul volto, ed un gruppo di anziani signori i quali da lontano agitano le braccia per salutare l’apparecchio che sta decollando (un particolare che non è mai citato: era pilotato dal colonnello Lizzani, fratello di Carlo, che non mi sembra entusiasta nel ricordarlo). Vennero poi quasi quarant’anni di esilio, con la frattura insanabile della famiglia (Umberto in Portogallo, moglie e figli in Svizzera) e con un matrimonio minato da quella che viene generalmente evocata come la sua potenziale omosessualità ma che non fu mai né pubblicamente discussa né ammessa. Anni durante i quali va riconosciuto ad Umberto un grande stile, un’eleganza di comportamento che non lo abbandonò mai e che gli consentì di sovraintendere, senza esagerare, ai suoi legami con i monarchici italiani, un tempo abbastanza numerosi (mi ricordo lo stupore di Enzo Tortora, di vecchi istinti repubblicani il quale, avendo assistito ai suoi funerali a Hautecombe, rimase sbalordito di fronte al profondo, autentico, lacerante cordoglio di migliaia di italiani, quasi tutti di modeste condizioni).
Insomma, tutto ciò considerato, lo spettacolo offerto dallo scipito Vittorio Emanuele e dallo sgambettante figlio Emanuele Filiberto (fornito anche di una moglie “striptiseuse”, che si esibisce a Parigi in un teatro specializzato) è semplicemente terrorizzante. Anche Aldo Grasso, in una sua cronaca televisiva, si chiede perché la Rai ci imponga in onda il principe. Il quale si badi, in preda ad una felicità compiaciuta ed inopinata, è apparso anche a Porta a Porta interrogato dal troppo sorridente Bruno Vespa. Mi chiedo che cosa ne avrebbe pensato il nonno, che fino all’ultimo conservò un impeccabile aplomb. Non sembra molto intelligente ma non riesco a capire perché si comporta così. A Ginevra si era preparato per lavorare in banca poi è venuto in Italia ed è rimasto folgorato dalla nostra televisione e da quel che essa alimenta di peggio nei cuori e nelle coscienze degli italiani. I secoli di storia che il suo nome evoca, i castelli della Val d’Aosta, le piazze di Torino, gli splendidi palazzi e i grandi giardini, tutto cancellato in nome di Milly Carlucci. Non solo a vederlo ma anche semplicemente a parlarne mi coglie lo stesso imbarazzo e la stessa cupa predisposizione dell’animo che provo a vedere Irene Pivetti, travestita da pseudo-conduttrice di” talk show”. Lei che ostentava l’antica croce degli “Chouans” vandeani…
Ho sempre meno voglia di vivere in questo paese.
Nel 1946 durante la campagna per le elezioni del 2 giugno, dove erano in ballottaggio anche la monarchia o la repubblica, frequentavo la seconda liceo presso l’ istituto “Vittorino da Feltre”, che allora aveva sede a Genova in una traversa di Via XX Settembre (Via Maragliano) ed era tenuto dai padri Barnabiti. Ovvero l’equivalente medio borghese dell’ Arecco, tenuto dai Gesuiti, che era allora la scuola di elezione di tutta la classe dirigente dell’epoca (un ambiente fortemente controllato dai democristiani che si riconosceva in un prelato onnipossente, il Cardinal Giuseppe Siri). L’una e l’altra scuola sono ormai scomparse, a testimonianza della rivoluzione ormai compiuta nel mondo un tempo molto potente degli Ordini e delle Congregazioni cattoliche in Italia.
Ebbene nella mia classe al Vittorino ero l’unico apertamente repubblicano. Tutti i compagni di classe erano più o meno attivamente monarchici a testimonianza di uno schieramento di classe che allora divideva, spesso in modo rigido, la società italiana appena uscita dalla guerra. Per ribadire una notazione d’epoca vorrei citare qui una frase di mio padre, reduce il 2 giugno 1946 dalla sua visita al seggio elettorale dopo la faticosissima votazione per la Costituente e per la forma dello Stato. In un momento di subitanea sincerità mi disse:”Sai, al momento di votare per la monarchia o la repubblica mi ricordai di aver giurato fedeltà al re nel 1915 e di non poter tradire quel giuramento”. Dopo sessantaquattro anni arrossisco ancora al pensiero dello sguardo di commiserazione che gli rivolsi.
Mi pare doverosa questa precisazione viste le mie attuali reazioni di fronte all’incongrua presenza di Emanuele Filiberto di Savoia in alcune trasmissioni Rai. Penso al Festival di Sanremo, ed a quelle, recentissime, sulla elezione di Miss Italia. Io ne ho visto un pezzettino e mi è parsa insopportabile, ma credo che abbia avuto alti indici di ascolto. Non so perché Emanuele Filiberto abbia deciso di diventare un personaggio televisivo e perché la Rai glielo abbia concesso, anche se le ragioni dell’ “Auditel” sono in genere persuasive. Ma la gioia del principe nel trovarsi a fianco di Milly Carlucci era addirittura stupefacente, soprattutto per un personaggio che sin dalla nascita dovrebbe avere dimestichezza con persone di un certo rango. Debbo confessare che vedendolo (il meno possibile) sono stato colto da una grande tristezza e da un profondo senso di compassione nel ricordo del nonno. Riconosco che Umberto II ha avuto molte colpe personali, compresa l’eccessiva acquiescenza ai voleri del padre Vittorio Emanuele III (il quale, per fugare qualsiasi desiderio di indipendenza del figlio, disse in un’occasione: “ I Savoia regnano uno alla volta”). Fin troppo disciplinato durante il periodo fascista, (ricordo una sua imbarazzata apparizione mentre in tight faceva il saluto romano a fianco di Hitler durante le Olimpiadi di Berlino). Costretto dal padre a fuggire con lui al sud a bordo della corvetta “Baionetta”. Poi durante il periodo della cosiddetta Luogotenenza e in quello brevissimo, in cui fu re, fu obbligato a tenere il timone fra i mille impacci e le infinite contestazioni tipiche del periodo tra il 1944 e il 1946. Poi, ancora, visibile nelle numerose immagini di repertorio quando, nella sua antica divisa del Regio Esercito, passava in rivista i superstiti soldati del C.I.L., comandati dal generale Utili, i quali si avviavano al fronte a combattere i tedeschi nell’estate del 1944. E nelle sue apparizioni, con la moglie Maria Josè, le bambine e il piccolo Vittorio Emanuele, alla testa di quella che sembrava una famiglia felice e non lo era: immagini largamente sfruttate dalla propaganda dell’epoca. Poi ci fu la sconfitta del 2 giugno e Umberto che, pur contestando i risultati del referendum, abbandonò in aereo l’Italia in una sequenza tante volte riproposta dalla televisione: lui in abito borghese che sale sull’apparecchio con un largo sorriso spennellato sul volto, ed un gruppo di anziani signori i quali da lontano agitano le braccia per salutare l’apparecchio che sta decollando (un particolare che non è mai citato: era pilotato dal colonnello Lizzani, fratello di Carlo, che non mi sembra entusiasta nel ricordarlo). Vennero poi quasi quarant’anni di esilio, con la frattura insanabile della famiglia (Umberto in Portogallo, moglie e figli in Svizzera) e con un matrimonio minato da quella che viene generalmente evocata come la sua potenziale omosessualità ma che non fu mai né pubblicamente discussa né ammessa. Anni durante i quali va riconosciuto ad Umberto un grande stile, un’eleganza di comportamento che non lo abbandonò mai e che gli consentì di sovraintendere, senza esagerare, ai suoi legami con i monarchici italiani, un tempo abbastanza numerosi (mi ricordo lo stupore di Enzo Tortora, di vecchi istinti repubblicani il quale, avendo assistito ai suoi funerali a Hautecombe, rimase sbalordito di fronte al profondo, autentico, lacerante cordoglio di migliaia di italiani, quasi tutti di modeste condizioni).
Insomma, tutto ciò considerato, lo spettacolo offerto dallo scipito Vittorio Emanuele e dallo sgambettante figlio Emanuele Filiberto (fornito anche di una moglie “striptiseuse”, che si esibisce a Parigi in un teatro specializzato) è semplicemente terrorizzante. Anche Aldo Grasso, in una sua cronaca televisiva, si chiede perché la Rai ci imponga in onda il principe. Il quale si badi, in preda ad una felicità compiaciuta ed inopinata, è apparso anche a Porta a Porta interrogato dal troppo sorridente Bruno Vespa. Mi chiedo che cosa ne avrebbe pensato il nonno, che fino all’ultimo conservò un impeccabile aplomb. Non sembra molto intelligente ma non riesco a capire perché si comporta così. A Ginevra si era preparato per lavorare in banca poi è venuto in Italia ed è rimasto folgorato dalla nostra televisione e da quel che essa alimenta di peggio nei cuori e nelle coscienze degli italiani. I secoli di storia che il suo nome evoca, i castelli della Val d’Aosta, le piazze di Torino, gli splendidi palazzi e i grandi giardini, tutto cancellato in nome di Milly Carlucci. Non solo a vederlo ma anche semplicemente a parlarne mi coglie lo stesso imbarazzo e la stessa cupa predisposizione dell’animo che provo a vedere Irene Pivetti, travestita da pseudo-conduttrice di” talk show”. Lei che ostentava l’antica croce degli “Chouans” vandeani…
Ho sempre meno voglia di vivere in questo paese.
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