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27 settembre 2013

IL CINEFORUM DI PIER LUIGI RONCHETTI

Gli interventi sul Blog (miei e di altri) a proposito dei Cineforum e Cine Club di una volta, hanno stimolato il mio vecchio amico modenese Pier Luigi Ronchetti ad inviarmi una lettera in cui ha rievocato ricordi, appassionanti e tempestosi, della sua giovinezza "cinefilica". Pier è un vecchio amico e collega, conobbe un esordio da critico cinematografico (a testimoniarlo c'è un suo "Castoro" su Claude Lelouch), poi praticò molto giornalismo a livelli vari: è stato anche per otto anni direttore di "Sorrisi e Canzoni". Io collaborai con lui una volta a Saint-Vincent quando dirigeva le "Grolle d'oro" e, più recentemente, con una rubrica settimanale su un'abile rivista intitolata "Emmemodenamondo", di cui lui era ovviamente il Direttore. 
Ho trovato la lettera divertente nel rievocare un periodo di cinema che in tanti abbiamo conosciuto. Ho chiesto a Pier l'autorizzazione a pubblicarla nel Blog, l'ho ottenuta ed eccola qui di seguito:

Caro Claudio,
a proposito di Cineforum (quelli che conducevo fra la fine degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta si chiamavano così) ti mando alcune considerazioni, frammentarie come spesso lo sono i ricordi, anche quelli più cari.
Il cinema parrocchiale chiamato Paradisino, a poche decine di metri dall'Accademia Militare di Modena, era il luogo di ritrovo settimanale di una fauna variopinta, forse unita dalla passione per il cinema ma sicuramente unita dalla voglia di comunicare, di confrontarsi, di dire la propria opinione, di esibirsi in pubblico.

Nella stessa sala si incontravano e si scontravano:
1) Giovani sessantottini con divisa di ordinanza (parka, giacca pesante, rotolo di giornali sotto il braccio, capello incolto, fumatori, preferibilmente Gauloises). Maniaci nella scelta del posto: qualcuno in primafila, qualcuno in ultima, nessuno al centro ma scaglionati lungo i corridoi per avere pronta una via di fuga.

2) Ragazze della Modena bene, in genere liceali o al primo anno di università (il cineforum era vietato ai minori di 16 anni), con gonne a pieghe, candide camicette, finalmente libere dai capelli cotonati e seguaci del liscio-smorto secondo i dettami di Francoise Hardy e Jane Birkin. Scarpette da ginnastica, reggiseni austeri e rigidi senza push.up. Niente rossetto sulle labbra, qualcosa sulle guance e attorno agli occhi. Sedevano in gruppo.

3) Professori universitari o liceali. Ognuno faceva storia a se perché appartenevano a diverse generazioni. Dagli estimatori di Matarazzo a chi considerava “L’anno scorso a Marienbad” il miglior film di tutti i tempi  ( “…in sintesi l’école du regard è l’affermazione dello sguardo passivo sulla realtà…”) i prof. trasformavano gli interventi  in  piccole lezioni di estetica, a volte gradevoli ma spesso interrotte a furor di popolo.

4) La classe operaia (…va in Paradisino). Due,  a volte tre generazioni di lavoratori autodidatti, fabbrica e scuole serali. Interventi tranchant con la pericolosa tendenza a parlare della trama in chiave moralistica tipo: “Io dico che lui ha fatto bene a lasciarla perché l’era na gran troia.” . C’era anche il figlio di un tabaccaio, molto grasso, che un giorno salì’ fino in casa mia (quarto piano senza ascensore) e mi consegnò ansimando un suo scritto sul cinema e sui suoi film preferiti. Lo lessi ma non potei mai dirgli cosa ne pensavo perché il giorno dopo si buttò dalla finestra. Andai a trovare la madre, una donna minuta, che mi ringraziò di averlo “accettato” al cineforum e mi raccontò tutta la storia di questo povero figlio, dentro e fuori dagli gli istituti psichiatrici.

5) I fenomeni. Noi  amici (Daniele, Checco, Vincenzo, Marco e Don Eligio ) che organizzavamo le serate. Eravamo noi i veri malati di cinema: usciti dal cineforum stavamo fino a notte fonda a discutere in piazza Roma, magari sotto la neve, battendo i piedi. Si discuteva di uno stacco in asse, di un piano sequenza e se il Mucchio Selvaggio entrasse di diritto nei cinque più grandi western di sempre. Uniti dalla passione e dall’amicizia, molto più importanti delle nostre idee personali. Andavamo sempre al cinema, maniacalmente al cinema. Schedavamo, riportando sui nostri fogli di quaderno  (che molti di noi non riescono oggi a buttare) anche i nomi dei comprimari, dei caratteristi, dei truccatori (Ben Nye, William Tuttle…) E naturalmente le battute, ripetute tra noi all’infinito…Un esempio per tutti, riferito a un film di Lelouch, “Vivere per vivere”. Quando Yves Montand, dopo aver lungamente amato Candice Bergen in una camera d’albergo, apre le finestre su una Amsterdam nebbiosa e dice: “Bisognerebbe sempre amarsi all’estero”.

Come passa il tempo. Anzi, come passano i  tempi…

Devotamente, Pier

2 commenti:

Rosellina Mariani ha detto...

Molto divertente la lettera di Pier Luigi Ronchetti. Una vera fotografia dei tempi: complimenti!

Enrico ha detto...

Divertente ("la classe operaia va in Paradisino"avrebbe strappato un sorriso anche a Volontè) e interessante.