Blog - Crediti


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20 luglio 2010

LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (14)

Gentile Claudio Fava,
ho seguito con piacere alla Televisione i suoi interventi. Qualche giorno fa ho avuto la sventura di vedere al cinema “Il ritorno di Cagliostro” e vorrei per questo chiedere come mai la critica italiana straveda per Ciprì e Maresco il cui film mi è parso francamente insostenibile.

Sara STELLA –Genova

Confesso che Ciprì e Maresco mi incutono una certa paura e che non sono andato a vedere il “Cagliostro” per molti motivi di varia natura. Di fronte alla loro opere precedenti si è tentati di dire a se stesso “allora non capisco proprio niente” (ammonimento che ognuno di noi, critico o non critico, si rivolge mille volte nel corso dell’esistenza, e non solo a proposito del cinema ma di tante cose, dalla letteratura alla politica alle decisioni dell’assemblea del condominio). Più largamente la domanda investe un problema di fondo (tagli, motivazione, attendibilità, giustificazione e vocazione della critica cinematografica) di cui avevo fatto cenno nella puntata scorsa e sul quale vorrei tornare il più presto possibile, con l’aiuto dei validi colleghi del Gruppo Ligure Critici Cinematografici.
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Sono un suo ammiratore e mi rivolgo a lei per sapere se Anouk Aimé è ancora viva e se si, come spero, perché non fa più film. Ringraziamenti e ossequi.
Suo Rodolfo BALESTRA –Genova Quinto
Confesso che sono sempre imbarazzato quando le lettere iniziano con delle lodi alla mia persona. Le devo cancellare? (chi si loda s’imbroda, eccetera). Se non le cancello che cosa penseranno gli altri lettori, di uno che tiene una rubrica di posta e la usa per pubblicare lodi a proprio favore. Ma se le cancello lo scrivente mi giudicherà ipocrita e si sentirà frustrato ? E via variando. Alla fine, siccome sono vanitoso, non cancello niente, soprattutto se le lettere sono brevi, ma mi sento anche fortemente in colpa, e così sono a posto con la coscienza.Passiamo ad Anouk Aimée. Per fortuna non è morta (almeno era viva sino a pochi mesi fa) e lotta insieme a noi. Occupiamoci seriamente di questa attrice eccellente ed estremamente personale (il suo volto svela un incomparabile tocco di passione e insieme di raffinato scetticismo) che ha avuto una carriera tanto lunga e ricca di titoli quanto diseguale. Ha ormai superato la settantina – è nata con il vero nome di Nicole Françoise Dreyfus, il 27 aprile del 1932 a Parigi, non so che cosa facesse suo padre, sua madre, Geneviève Sorya, era un’attrice – e, nel 1949, a soli 17 anni ed al suo secondo film era già una “vedette” grazie alla sua interpretazione ne “Gli amanti di Verona” di André Cayatte da una sceneggiatura di Jacques Prévert. Da quel momento, e per tutti gli anni ’50, una serie di film – Astruc, Becker, Franju, per citare solo qualcun dei suoi registi - la impongono come una immagine quasi trasfigurata, capace di amori fragili e tenaci. Nel 1960 con ”La dolce vita” Fellini ne ribadisce le qualità di recitazione nervosa, sensibile, aggressivamente frustrata, per recuperarla poi sottilmente nel 1963 in “Otto e mezzo”, dopo che Anouk era stata per sempre consacrata da Jacques Demy, ancora nel 1960, con “Lola, donna di vita” nella parte di una cantante di un piccolo locale di Nantes, occasionalmente anche prostituta, che essa disegna da pari sua (“indimenticabile“ la definisce il Morandini). Lavora molto in Italia con diseguali risultati: ricordiamo almeno “Il terrorista” di Gianfranco De Bosio (1963), “La fuga” di Paolo Spinola (1964), “Le stagioni del nostro amore” di Valerio Zurlini (1966). Proprio in quell’anno Claude Lelouch la riporta in Francia, la colloca a fianco di Jean-Louis Trintignant e la impone di nuovo al mondo in “Un uomo e una donna (”Oscar” per il miglior film in lingua straniera, Palma d’Oro a Cannes) con immagini amorose da altissimo fumetto che arrivano ovunque sulle ali di un azzeccato e ossessivo tema musicale di Francis Lai. Diva internazionale per la seconda (o terza) volta, Anouk non si muta ancora (e mai) in una vera diva internazionale ma continua una sua carriera diseguale, spesso di gran classe ma a volte distratta e quasi incerta. In più la scadenza dell’età, così feroce con le attrici e così indulgente con gli attori, la rende via via meno protagonista. Sino ad oggi ha lavorato complessivamente in più di 70 opere, fra cinematografiche e televisive, spesso, anche dopo “Un uomo, una donna” in produzioni di rilievo e con noti registi, fra cui André Delvaux, Bellocchio, Bertolucci, spesso Lelouch (compreso il seguito del suo film più famoso, e cioè “Un uomo, una donna oggi” ove ritrova, vent’anni dopo, lo stesso personaggio, Anne Gauhier), Robert Altman, George Cukor, Sidney Lumet ma altrettanto spesso in opere di minor risalto. Attivissima ancor oggi – già due film nel 2003, fra cui “La petite prairie aux bouleaux”, che non mi pare sia venuto in Italia - l’attrice può riguardare in fondo con orgoglio la sua carriera. Con orgoglio ma anche con rimpianto perché a noi ha comunicato la sensazione di aver valorizzato solo in parte la sua recitazione nervosa ed il suo volto nato per il cinema. La sua vita privata deve essere stata anch’essa tortuosa come la carriera. Secondo alcune fonti ha avuto ben cinque mariti, a testimonianza del fatto che la vita imita l’arte e che certi suoi personaggi affondano la radici in un convulso e intensi modo di vivere.
(sul n° 55 Novembre-Dicembre 2003 p. 19)

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