Rispondo subito a Luigi Luca Borrelli (post di commento alla mia rubrica del Mercantile pubblicata nel blog il 17/06/13) perché quel che scrive mi riguarda, anche personalmente, e in qualche modo rievoca una notevole parte della mia vita personale e professionale.
Mi rendo conto che una presentazione “vecchia maniera” possa risultare poco adatta ad una generazione “abituata ad una rapidità nel flusso formativo e visivo che per ovvi motivi in nostri padri non hanno conosciuto”. Curiosamente è una generazione che predilige, o comunque tollera, tempestosi dibattiti televisivi in cui per decine di minuti diverse persone gridano contemporaneamente, intasando in modo irreparabile i microfoni di studio.
Mi fa piacere che lei gusti le “presentazioni/introduzioni” di Vieri Razzini. Che, dopo la pensione, ha cominciato a lavorare sistematicamente nel campo del DVD d’autore, diventando in certo senso una garanzia per i suoi spettatori. Per un certo periodo Vieri ha lavorato nella struttura di Rai Due da me diretta prima di passare a Rai Tre dove, a fianco e insieme a Enrico Ghezzi, ha trovato una sua migliore collocazione. Se ricordo bene quando era a Rai Due mentre si trovava in viaggio di lavoro negli Stati Uniti comprò, su input mio e del Direttore di Rete Pio De Berti Gambini, la soap-opera “Capitol”, che fu il primo prodotto del genere ad essere programmato in Italia. A Rai Due dovetti sempre occuparmi anche delle soap-opera: oltre a Capitol ci fu “Quando si ama”, che andai a comprare in America e poi a Milano, e “Beatiful”, che fu una mia scoperta al MIP di Cannes e che poi, rivenduta dai proprietari direttamente a Mediaset, incredibilmente dura ancora oggi in America, e di riflesso in Italia.
Ma quel che conta è il cinema, che io programmai per ventiquattro anni, prima, a partire dal 1970, nella Rai “unificata”, poi dopo la riforma inizialmente, per cinque anni a Rai Uno, e successivamente, sino al 1994, a Rai Due. Più di due decenni durante i quali curai non soltanto la programmazione ordinaria, ma molti grandi cicli, sia di attori che di registi, e, nel caso di Age e Scarpelli, di sceneggiatori (nella Rai dell’epoca questi due straordinari personaggi non erano considerati con molto rispetto perché avevano cominciato a lavorare con e per Totò!). Fra i molti protagonisti del cinema che ho recuperato e, spesso, ho contribuito a far conoscere meglio al grande pubblico italiano, c’è sicuramente Jean-Pierre Grumbach (in arte Jean-Pierre Melville, pseudonimo scelto durante gli anni di guerra in onore del grande scrittore americano Herman Melville). Egli, nato nel 1917 e morto nel 1973, era tempestosamente amato e/o contrastato in Francia ma di fatto poco conosciuto o addirittura ignorato in Italia. Nel maggio del 1974 io pubblicai un lungo e, in certo senso, devoto articolo su Melville ne “La Rivista del Cinematografo” (lo riproposi, nel 1979, in un’antologia di miei scritti intitolata le “Camere di Lafayette”). In certo senso risale, a quell’articolo, almeno in parte un risorgere d’interesse da parte di alcuni critici italiani. Ne fu idealmente la prosecuzione un ciclo di film che io organizzai e poi presentai in video a Rai Uno, intitolato ovviamente “Un americano a Parigi” (l’amore per il cinema hollywoodiano era una delle caratteristiche più evidenti della vita e dell’opera di Melville). In quell’occasione riuscii a recuperare in Francia ed a far doppiare per l’Italia (la sottotitolazione mi era rigorosamente proibita) i suoi primi tre film, che il nostro mercato aveva sempre ignorato. E cioè il suo piccolo capolavoro di esordio “Il silenzio del mare” (Le silence de la mer, 1947-1948) e “I ragazzi terribili” (Les enfants terribles, 1950), frutto di una inattesa collaborazione con Jean Cocteau, “Bob il giocatore”, (Bob le flambeur 1956), commedia drammatica, fra il “nero” e il crepuscolare, che di Melville è uno dei risultati più curiosi. Naturalmente (eravamo, se ricordo bene, nel 1979) fu difficile, se non impossibile, ottenere i diritti sui i film più recenti e, tipicamente, su quello che fu forse l’unico, grande successo di pubblico (soprattutto in Francia) di Melville, e cioè “I senza nome” (Les cercle rouge, 1970). Comunque riuscii a portare il ciclo a compimento, e le assicuro che allora (con un mercato rivoluzionato dall’avvento improvviso delle televisioni private ed un numero limitato di collocazione di cinema a disposizione) era un bel risultato. E so ben io di quanta e quale fatica (anche amministrativa) fosse il frutto. In ogni caso il ciclo contribuì ad una migliore conoscenza in Italia di Melville e provocò un indubbia “ricaduta” pubblicistica, a partire da un “Castoro” di Pino Gaeta.
A dover ripercorre la mia carriera e, in fondo, spiegare chi sono (a ottobre, se ci arriverò, compirò 84 anni) mi sento un po’ imbarazzato. Ma rendendomi conto che non c’è nessuna malevolenza nel fatto che lei mi conosca poco, o punto, le fornirò alcune altre informazioni. Per 24 anni ho scelto e programmato film alla Rai (per gli ultimi 13 anni anche telefilm, sceneggiati e soap-operas, ma questo è un altro discorso) ereditando ma lanciando al massimo livello l’idea di cicli specifici, dedicati ad un tema o a un personaggio (regista o attore/attrice). C’è tutta una generazione, che va adesso dai 40 ai 70 anni che, in un’epoca senza documenti portatili (i VHS e poi di DVD) che ha imparato a conoscere molto cinema, soprattutto americano, grazie alla mia mediazione ed alle mie presentazioni (queste ultime furono quelle che invogliarono Maurizio Nichetti ad offrirmi la parte di un critico cinematografico televisivo in “Ladri di saponette”). Molto cinema americano, dunque, molto cinema italiano, e anche molto cinema francese, a causa del quale ricevetti una decorazione abbastanza importante (è l’unica che io posseggo), per cui sono “Officier des Arts et des Lettres”.
Potrei continuare a parlare di me, ricordando le migliaia di articoli pubblicati dalla fine degli anni ’50 ad oggi ma non vorrei esagerare. Il fatto che lei mi conosca a causa del Morandini (Morando è un mio amico da oltre mezzo secolo ed ho visto bambine le figlie, una che fa la costumista a Roma e l’altra che lavora col padre al dizionario) mi suggerisce un’idea. Qualche tempo fa pubblicai mensilmente in “Film Tv” una rubrica il cui titolo era stato scelto da quello che ne era allora il direttore, Aldo Fittante, e cioè “Salvate la Tigre”. Nella rubrica ogni volta evocavo un titolo (o più titoli) di film per i quali ero intervenuto alla Rai: li avevo importati in Italia oppure avevo operato una “restitutio in integrum, eccetera”. Ho deciso che ne spedirò le fotocopie a Morando in modo che possa apportare qualche precisazione in alcune voci del vocabolario.
Mi auguro di non essere stato eccessivamente lungo e le porgo i migliori saluti.
5 commenti:
Solo per confermare che anche il sottoscritto (56 anni) grazie a lei ha imparato,come tanti ragazzi di allora , a conoscere meglio il cinema e ad amarlo di più.
Il suo post mi ha ricordato una domanda che volevo porle: la collaborazione con Film TV è cessata col passaggio al nuovo direttore Gervasini?
Ringrazio per l' esauriente e ricchissima risposta ad personam, che ripercorre in effetti una carriera di chimerica bellezza professionale.
Mi rendo conto a questo punto della gaffe fatta dicendo che lessi il suo nome per la prima volta sul Morandini , ma era questa la - se vogliamo un po' ironica - verità per quanto riguardava la mia esperienza.
Ho sempre poi legato il suo nome a Melville, che con Visconti è il regista che più ho amato in questi anni, e in parte sapevo delle sue "fatiche" per renderlo noto in Italia anche perché avevo visto su youtube un' intervista relativa al regista francese divisa in tre parti ( "Jean Pierre Melville. Le Cercle Rouge e Dintorni - Un'intervista a Claudio G. Fava " ); Su youtube circolano anche altri video in cui lei appare e devo dire che la mia conoscenza a riguardo si limitava pressapoco a questi video, peraltro non pochissimi
( purtroppo ho scoperto solo da poco l' esistenza del blog ); Probabilmente anche in questo sta la differenza tra generazioni; la maggior parte dei suoi "fans" hanno potuto conoscerla per le sue apparizioni o imprese televisive, io ho dovuto sfruttare la rete : va da sé ovviamente che non è la stessa cosa.
Interessante a riguardo è anche la questione sul come possa essere cambiato il modo di approcciarsi al cinema, di conoscerlo : tra biblioteche comunali munite di ottimi reparti dvd ,megastore variamente forniti e lungometraggi "scaricabili" via rete, la mia fruizione cinematografica mediante televisione è ormai assai scarsa ; Fuori Orario è praticamente l' unico programma di cui io mi sono servito per accedere al cinema televisivo negli ultimi anni ( RaiMovie e Iris trovo che abbiano un palinsesto molto altalenante, per non dire spesso mediocre, e altri Canali esagerano con le pubblicità frammentando la tensione visiva);
E' comunque ragguardevole che un grande giornalista si presti a rispondere per filo e per segno ad un "ragazzo" (dubito che molti suoi colleghi farebbero altrettanto ); se però ho scritto e tendo a scrivere molto è perché ho notato in lei un certo interesse a mantenere le discussioni.
Mi associo a quello che ha scritto Enrico...
Grazie
Ringrazio a mia volta Luigi Luca Borrelli e così siamo piacevolmente pari. Averle risposto puntualmente è stato da parte mia anche prova di una certa impudicizia. Va però detto, a mia lode, che in tutta la mia vita professionale e privata ho sempre cercato di dare una mano a chi era più giovane di me, ricordandomi dei miei trascorsi. In quanto alle fonti attuali di approvvigionamento e documentazione non c'è dubbio che tutto sia cambiato rispetto alla mia generazione, legata alla faticosissima frequentazione delle poche Cineteche italiane.
Molti saluti.
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