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13 agosto 2010

LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (19)


Come anticipato ricomincio qui a pubblicare alcune delle lettere della Posta di D.O.C. Holliday nel consueto ordine cronologico. Di seguito apparirà la corrispondenza tratta da 7 numeri di Film DOC.

Ho letto tante critiche di “Spiderman 2" ma non mi convincono. Secondo lei è meglio del n° 1? Spero che risponderà sulla rivista. Grazie anticipate.” –
GINO SAVIO, Corso Sardegna , Genova.



Il problema è che (lo confesso) non ho visto il numero 1. In compenso ho visto il n° 2. Tuttavia per quel che riguarda il primo film – diretto anch’esso da Sam Raimi e centrato su un personaggio di fumetti inventato nel 1962 negli Stati Uniti, per i Marvel Comics, da Stan Lee e disegnato da Steve Ditko - ho cercato di documentarmi. Ad esempio ecco quel che ne hanno scritto a suo tempo due vecchi amici del cui giudizio, generalmente, mi fido. Cerco di ridurre al minimo le citazioni che tuttavia, perché abbiano un senso, debbono comunque avere un minimo di lunghezza. Do per scontato il fatto che si sappia preventivamente che il film, e prima il fumetto, si basano sull’ipotesi che un giovane studente miope, timido e solitario sia stato morso da un un ragno tutto speciale che lo trasforma così in un Uomo Ragno, Spider Man appunto, dotato di vista acutissima, di muscoli d’acciaio di una capacità unica di lanciarsi nel vuoto e di afferrare gli oggetti grazie ad una emulsione gelatinosa che sgorgando dai polsi può produrre infinite ragnatele gigantesche.
Cominciamo con Tullio Kezich (“Corriere della Sera”, 8.6.2002): “.......quella di Spider-Man 2. (..) è una leggenda metropolitana a sfondo triste. Se il fumetto è immobilità, il cinema è movimento. Molto difficile quindi trasferire un racconto dall’esposizione folgorante e congelata della pagina alle fantasmagorie dello schermo. Bisogna dire che il regista Sam Raimi, anche grazie all’operatore Don Burgess, che si avvale di effetti speciali estremamente raffinati, ci riesce bene: sicché la New York tetra e gotica del film, attraversata dalle parabole incrociate con l’arcinemico Green Goblin e terrorizzata dai loro conflitti, è una immagine da 11 settembre 2001. Il regista ha chiesto al “designer” Neil Spisak ed al costumista James Acheson, una ambientazione senza tempo (in mezzo a vari elementi postmoderni, i grattacieli sembrano castellacci medioevali e la redazione del giornale assomiglia a quella di “Front Page” negli anni ’30) mentre alla musica di Danny Elfman è affidato il compito di allarme perpetuo Tuttavia lo spettacolo si rivela vincente soprattutto sul piano dell’interpretazione”

Passiamo adesso a Valerio Caprara (“Il mattino”, 8.6.2002) (...) E’ del tutto inutile che il critico brillante e quello impettito s’affatichino a sanzionare se il film sia “bello” o “brutto”: l’aspetto innovativo e suggestivo dell’operazione sta nell’egemonia dello statuto filmico affermata dal regista Sam Raimi sin dentro le tipologie e i codici del fumetto. Dai grandi tableaux di Batman e Superman sono stati tratti film di tutto rispetto, ma raramente come in questo caso la contaminazione – una serie di innesti di forme visive e di ritagli narrativi- tra cinema e letteratura, pittura e sociologia è risultata così creativa e approfondita. Rispetto al supereroe inventato da Stan Lee (...) la stupefatta normalità del bravo Tobey Maguire (l’attore protagonista –N.d.R.) è perfettamente in grado di riprodurre, se non di radicalizzare, l’immersione del personaggio nei dilemmi tortuosi della doppia identità, il suo dibattersi in una rete di prigionie invisibili, di strappi emotivi che ne intensificano il pathos del dubbio e dell’incertezza da teenager. (......) Ciò che conta è il talento di Sam Raimi, che usa la cinepresa come una leva proteiforme, sia per favorire carambole ottiche degne di “Matrix” sia per mimare le fibrillazioni organiche di qualsiasi anonimo mortale, sia per fare scorrere l’adrenalina sollecitando le paure psicanalitiche, dalla tipica sensazione della caduta libera a quella primaria del non essere all’altezza delle private sfide e quotidiane (...).

Veniamo ora a questa seconda edizione delle avventure del timido studente/ragno volante, che mi pare sostanzialmente vicina al clima creato dal primo film anche se l’atmosfera di ogni “sequel” è sempre inevitabilmente diversa dal capostipite (a volte migliore, a volte peggiore, non c’è una regola fissa). Tutto è confermato: la duplice natura del ragazzo Peter Parker interpretato da Tobey Maguire, la trepida presenza di Kirsten Dunst (nei panni della giovane attrice Mary Jane Watson). E la nuova, cupa minaccia del cattivo (Doc Hoxk/Dottor Otto Octavius) sorretto con notevole disinvoltura dall’ambiguo Alfred Molina. La vocazione di recupero sofisticato di un popolarissimo fumetto è di nuovo evidente, in questo prodotto confezionato con grande impiego di modernissimi trucchi e di calibrata rievocazione d’epoca (un’epoca abilmente sospesa fra il presente, il passato ed il futuro, come accade con tanti cartoons). Io non mi sono annoiato a vederlo, ed è già molto. I bambini presenti erano doverosamente affascinati, come è giusto che accada, in presenza di un sogno incarnato che evoca tutti i grandi fantasmi della nostra infanzia: lo sdoppiamento fra il personaggio mediocre e l’eroe, la possibilità di volare fra la case come un acrobata senza confini, le reti che nascono dai polsi e consentono ogni sorta di acrobazie e di combattimenti.
E’ ovviamente possibile e doveroso, ma nel fondo non facile chiedere di più al cinema.

Mi pare di non aver risposto a Nicola Montaldo (Ge-Sestri) che mi chiedeva chi fosse il doppiatore di Richard Gere: da tempo è prevalentemente Mario Cordova. In altre occasioni il doppiatore è stato Michele Gammino.

(Film D.O.C., anno 12, n. 60, Nov.-Dic. 2004)

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