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13 agosto 2010

LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (23)


Non so che cosa lei pensa del recente film di Romero “La terra dei morti viventi” ma i fatti di New Orleans mi sono sembrati una specie di copia di quel che si vedeva in quel film. Mi piacerebbe leggere la sua opinione. Grazie. GIUSEPPE AVANZINI – GENOVA

Il discorso su Romero è semplice e abbastanza complicato al tempo stesso. Come è noto egli era di fatto sconosciuto, o quasi, quando, nel 1968, “esplose” il suo primo film, “La notte dei morti viventi”. Nato il 4 febbraio 1940 a New York, Romero frequentò la Carnegie Millon University a Pittsburgh, Pennsylvania,e subito dopo cominciò a girare cortometraggi e produzioni pubblicatrice. Si avviava alla trentina quando insieme ad un amico, John A. Russo (si badi, l’uno e l’altro con cognomi non anglosassoni, a dimostrazione del rivolgimento etnico in atto nella società americana) scrisse la sceneggiatura de ”La notte dei morti viventi” (Night of the Living Dead, 1968). I due disponevano di 10.000 dollari e riuscirono ad ottenerne 100.000 per produrre un film a basso budget, in bianco e nero, di 96 minuti di durata, centrato su un tema facile e terribile. Così lo riassume il Morandini: “Per motivi poco chiari (…) i morti insepolti tornano in vita con impulsi cannibaleschi. Ogni persona ammazzata si trasforma in uno di loro. Sette persone cercano di resistere barricandosi in una casa abbandonata. E’ il cult movie di basso costo che segnò una svolta nel cinema dell’orrore, portato da Romero fuori dagli studios, dalle convenzioni, dal ghetto.(……..).Ebbe 2 seguiti, 1 remake e innumerevoli imitazioni”.
In effetti, si trattò di una sorta di reciproca,vicendevole presa di coscienza: da parte di molti spettatori nei confronti di Romero, i quali lo elessero loro “zombi_director “ di fiducia, e del regista che di fatto capì d’aver intrapreso un cammino dal quale non gli conveniva discostarsi molto. La ventina di opere – in genere sceneggiate da lui stesso - a cui ha lavorato da allora son pressappoco collocabili quasi tutte nella stessa venatura e collocazione di cinema “horror”, che egli ha dimostrato di saper”fabbricare” con naturale, ed un poco maniacale e circoscritta, facilità. Inutile star qui a fare elenchi. Basterà ricordare qualche titolo: “La città verrà distrutta all’alba” (The Crazies, 1972), “Vampyr” (Martin, 1977), “Zombie” (Dawn of the Dead, 1978, in collaborazione con Dario Argento la cui figlia Asia figura invece nel film di cui ci occupiamo), “Il giorno degli zombi”(The Day of the Dead”, 1985), “La metà oscura” (The Dark Half,, 1993) e via svariando sino ai nostri giorni. Dai controlli che ho fatto sembra comunque che sia pieno di” lavoro:dal 2005 al 2007 sono previsti 4 film, naturalmente oggi come oggi in differenti stadi di preparazione.
Il più recente fra quelli pronti è appunto “La terra dei morti viventi “(George A. Romero’s Land of the Dead, 2005) a cui fa riferimento il signor Avanzino. Ed ove il tema degli zombie è giunto ormai quasi a compimento. Infatti la struttura intera del mondo, minacciato dalla peste e dalla guerra, è decisamente influenzata dalla presenza degli stessi zombi, che si sono moltiplicati e controllano quasi tutto il territorio mentre i “vivi” son ridotti a difendersi. Ma fra questi, mentre i poveri conducono una esistenza precaria in un mondo miserabile dove imperano la violenza, le droghe, il traffico di armi, la prostituzione, e il gioco clandestino, i ricchi vivono lussuosamente in edifici di pregio scrupolosamente difesi da reparti mercenari (le reali struttura economiche di quel mondo restano oscure, ma a Romero non sembrano interessare molto). Va anche detto che gli zombi, rispetto al passato, hanno saputo sviluppare una sorta di rudimentale capacità di “lavorare “insieme e di perseguire un obbiettivo comune, mentre dal canto loro i “sani” organizzano vere e proprie battute di caccia, utilizzando una sorta di immenso carro armato chiamato “Dead Reckoning” (avrebbe forse dovuto essere il titolo vero e proprio del film, quando qualcuno ha avuto il buon senso di ricordarsi che era anche il titolo di un film del 1947, di John Cromwell, con Humphrey Bogart e Lizabeth Scott . un ”nero” molto conosciuto anche da noi, in parte grazie al titolo reboante, lievemente ridicolo ma a suo modo furbesco, rimasto proverbiale presso tutta una generazione di spettatori: “Solo chi cade può risorgere”).Vedendolo si capisce perché il signor Avanzini sia stato stimolato a formulare un paragone in fondo inatteso ma curioso, e cioè quello fra la struttura figurativa del film e i reportages provenienti dalla Louisiana e particolarmente da New Orleans (la parola, almeno lì, è pronunciata “Niù òrlins” e non “niù orlìns”, come diciamo in Italia). E’ una osservazione curiosa, ma non incongrua . Non v’è dubbio che vi sia qualche misteriosa affinità fra i due sfondi e le due strutture urbane (tutti noi siamo stati colpiti, vedendo la TV, dalla franta e arresa desolazione urbana delle immagini: quei quartieri neri”, quei negozi febbrilmente ma stancamente saccheggiati, il frantume delle casupole. l’aria riottosa e sbalordita dei superstiti, le barche che si aggiravano di strada in strada come in un Venezia d’incubo). Insomma tutto un cupo armamentario visuale che , vedendo il film di Romero, fa proprio pensare al vecchio detto paradossale di Oscar Wilde secondo cui “la vita imita l’arte”. Chissà se Romero ha avuto qualche premonizione o se lo ha invece soccorso l’istinto opaco ma vivissimo del narratore ingenuamente (quasi) geniale……


(Film D.O.C., anno 13, n. 65, Nov.-Dic. 2005)

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