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2 agosto 2010


Un interessante articolo di Bruno Ventavoli sulla Stampa di domenica primo agosto mi ha invogliato a scrivere questo breve pezzetto che ho inviato a diversi indirizzi e-mail.
nell'immagine Ferenc Körmendi


Caro Bruno,

ti scrivo sperando che l'indicazione dell'e-mail sia giusta, visto che è praticamente impossibile trovare te o Genta alla Stampa.

Volevo ringraziarti in modo conveniente per la bella intervista su Tuttolibri. E oggi soprattutto ho deciso di scriverti a proposito del pezzo "Anni Trenta, a qualcuno piaceva Budapest", che hai pubblicato ne La Stampa di domenica. Appartengo a una generazione che può testimoniare della toccante fondatezza di quello che tu hai scritto. Quando ero piccolo e andavamo in visita da qualche parte, le signore avevano sempre a portata di mano un romanzo ungherese. Perchè la borghesia italiana si era convertita di colpo, sull'onda del successo di "Avventura a Budapest", a tutta una generazione di scrittori ungheresi nessuno l'ha mai capito bene. Mi ricordo i libri con una copertina esangue (erano forse di Rizzoli?). In ogni caso la prodigiosa vitalità dell'Ungheria era confermata da quel che accadde in quel periodo. Ho la sensazione che Kormendi (con dieresi) fosse ebreo, e che il suo nome vero fosse un altro, e forse non era il solo in questa condizione, in una generazione di straordinaria intensità creativa, ad esempio io ricordo di aver letto, di Lajos Zilahy, un romanzo, "I Dukay" dedicato ad una grande famiglia della nobiltà magiara, credo scritto già in inglese durante l'esilio dorato negli Stati Uniti, che rivelava l'amore per un ampio impianto romanzesco. Fra l'altro la sorella maggiore della protagonista fa pensare a quella Geraldine Appony che sposò re Zog e che, ho scoperto, morì non molti anni fa.
Insomma, siamo ai margini di un grande momento creativo e la forte presenza di ebrei è una garanzia di intensa invenzione e di articolata descrizione etno-politica. Mi è venuta voglia di acquistare la nuova edizione di "Avventura a Budapest", anche per leggere la postfazione di Giorgio Pressburger, che conoscevo abbastanza bene a Roma e che incontrai inaspettatamente A Budapest come responsabile dell'Istituto Italiano di Cultura.
Credo di non avere motivi per scocciare ulteriormente e per tanto chiudo qua.

Qualsiasi nuova variazione sul tema della narrativa ungherese allora di successo sarà graditissimo.

Grazie e ancora molti saluti a te e a Genta,


Claudio G. Fava

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