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13 agosto 2010

LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (20)


E’ stato molto bello il ricordo del film-rivista tedesco pubblicato con ricordo particolare di Marika Rökk. Quella si che era una grande artista ! Sapeva fare di tutto, una grande ballerina, e sapeva anche cantare. E che corpo. Altro che certe soubrette di casa nostra !! Mi è spiaciuto sapere che è morta, ma non mi meraviglia che ha cantato sino all’ultimo. Aveva una vitalità!! Gli artisti pubblicati mi hanno fatto ringiovanire di un bel numero di anni.
Grazie di cuore.
MORELLI Corrado, Genova


La ringrazio per le lodi, che peraltro vanno girate, ancora una volta, a Piero Pruzzo, il cui entusiasmo per il musical tedesco è stato (ed è) fruttifero. L’entusiasmo che lei dimostra per la Rökk – deve molto al marito Georg Jacoby che fu il suo regista - pare nella sostanza giustificato se si ripensa all’epoca, ed anche a quel che passava il convento durante le guerra quando era troncato il grande cordone ombelicale con il musical americano. Fu indubbiamente longeva: nata al Cairo il 3 novembre 1913 è morta quest’anno (esattamente il 16 maggio) nei pressi di Vienna. Pertanto più che novantenne. Lavorò per circa un trentennio– dal 1930 ai primi anni ’60 – riuscendo a recuperare in piccola parte nel dopoguerra l’antica notorietà, evidentemente legata non solo al suo talento ma anche, e forse soprattutto, ad un momento di obbligato fulgore della cinematografia tedesca, in cui questa oriunda ungherese svolse quasi tutta la carriera. Ho trovato anche due tardivi titoli da lei interpretati. L’uno del 1973, per la TV, “Der Letze valzer”, l’altro del 1988 “Schlos Königswald”. Non mi chieda di più.



Caro D.O.D Holliday non ho più avuto risposta alla mia lettera di mesi fa riguardante i caratteristi del cinema italiano, come mai? Posso sperare in un suo riscontro? Grazie(....) Cordiali saluti e sempre tanti complimenti per la stupenda rivista “Film DOC” che vedo e leggo sempre con molto interesse.
MARIO di NERVI.


Ho tolto una sua richiesta di parere riguardante “2046”. Non ho visto il film e perciò non ne parlo (se avrò spazio, la prossima volta tornerò sul regista Kar Wai Wong). Sin qui non ho risposto alla sua lettera precedente (di molti mesi fa, ma sempre attuale) perché era - ed è - di una lunghezza tale da sbaraccare l’intera rubrica. Il tema di fondo era questo. Mario di recente aveva visto due film, “Gente di Roma” di Ettore Scola e “Ti spiace se bacio mamma” di Alessandro Benvenuti; in entrambi lavora Arnoldo Foà (classe 1916) e nel primo anche Fiorenzo Fiorentini che recitava il Belli ai passeggeri di un autobus (purtroppo Fiorentini nato a Roma il 10 aprile 1920 vi è morto il 27 marzo 2003. La sua carriera è stata marginale e insieme eccezionale, varrà la pena di riparlarne. Foà, personaggio straordinario che io conosco bene, è invece fortunatamente vivo e vegeto, attivissimo e strabordante, sempre in giro per l’Italia a dar vita a inarrivabili recital, grazie ad una baldanza fisica da giovanotto e ad una voce narrante di fatto ormai senza pari ).
Mario di Nervi prendeva lo spunto dalla presenza di due attori d’eccezione come Foà e Fiorentini – curiosamente sono entrambi ebrei, anche se assolutamente non praticanti ed osservanti, a testimonianza del vitale talento artistico proprio di tantissimi israeliti come la storia di Hollywood insegna - per poter ricordare quella che fu una gloria del cinema italiano, e che ora, salvo qualche caso, è soprattutto una gloria del passato. E cioè la presenza di una schiera numerosa e valorosa di caratteristi che hanno fatto grande il cinema italiano (lasciamo stare qui il periodo muto) almeno dagli anni’30 sino agli anni ’80.
Non posso citare tutti gli attori ricordati da Mario di Nervi. Mi limito a qualcuno soltanto: Guido Alberti, Ernesto Almirante, Gigi Ballista, Gugliemo Barnabò, Arturo Bragaglia, Carlo Campanini, Nando Bruno, Mario e Memmo Carotenuto, Claudio Ermelli, Giacomo Furia, Corrado Gaipa, Armando Bigliari, Luigi Pavese, Cesare Polacco, Franco Coop, Camillo Pilotto, Turi Pandolfini, Mario (e, più rivistaiolo, Raffaele) Pisu, Gigi Reder, Virgilio Riento, Carlo Tamberlani, Saro Urzì, Vinicio Sofia, Vincenzo Talarico, Nino Vingielli, il mio caro amico Leopoldo Trieste e tanti, tanti altri, che Mario nomina e che lascio nel computer (un tempo si diceva nella penna!). Molti, lo ricorda anche lui, sono stati grandi doppiatori. Altri, che egli cita sono quasi protagonisti, come Paolo Stoppa, Claudio Gora, Enrico Glori, quelli che un francese chiamerebbe forse “Deuxieme couteaux”, diciamo deuteragonisti.
Perché sono importanti? Per spiegarlo bene ad un eventuale lettore giovane - ma ce ne saranno per questa rubrica ? –bisogna ricordare che in ogni industria cinematografica in qualche modo organizzata sono in fondo i caratteristi a dar vita alla struttura portante del racconto. Senza di essi i divi non hanno modo di campeggiare e di accentrare lo sguardo degli spettatori. Ed ogni cinematografia vitale conta in genere su un gran numero di caratteristi. I quali consentono divagazioni e ritorni al permettendo di riproporre alcune figurette fondamentali (il cameriere sciocco, l’amico discreto, il provinciale pomposo, la servetta stravolta, la bottegaia astuta, eccetera) su cui si articolano da tempo immemorabile le commedie e le tragedie dell’arte. Grazie ad un mondo diverso da quello attuale (il pullulare delle compagnie di giro, il fiorente avanspettacolo, fucina di comici minori e geniali, le centinaia di film in produzione e quindi l’alta richiesta di personale, eccetera), i caratteristi nascevano, si formavano, erano utili e riconosciuti. Il cinema li alimentava ed essi alimentavano il cinema.
Un mondo perduto, su cui vorrei tornare in qualche prossima puntata.


(Film D.O.C., anno 13, n. 61, Gen.-Feb. 2005)

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