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13 agosto 2010

LA POSTA DI DOC HOLLIDAY (23)

Sono una sua assidua lettrice e vorrei sottoporle un mio pensiero. Fra poco avrò quarant’anni e forse per il mondo di oggi son già sorpassata, anche se mi considero abbastanza moderna. Ma se mi venisse voglia di fare l’attrice, lei pensa che dovrei sottoscrivere qualche contratto per dichiararmi disponibili a mettermi nuda in qualche scena del film? Perché mi pare che oggi non si scappi di lì. Non c’è film in cui ad un certo punto l’attrice non debba mettersi in mostra al naturale. Possibile che sia sempre necessario, e che sempre si debba far vedere l’amore fisico il più dettagliato possibile? Mi pare che venti o trent’anni , nei miei ricordi, ci fossero film dove l’amore avesse anche interpretazioni meno crude e tuttavia fosse lo stesso chiarissimo. Anzi ancor più espressivo. Mah!
Scusi e saluti rispettosissimi.ADELE CERVETTO


Mi auguro vivamente che lei non decida di fare l’attrice e che non sia perciò costretta ad una spietata scelta fra la carriera e la morale .....evidentemente sto scherzando per affrontare in modo non troppo tetro un argomento di per sè assai delicato ed importante. E’ vero. Da parecchi anni – non saprei collocare esattamente l’inizio della moda ora trionfante, ma saremo intorno agli anni ’70 - il cinema, un tempo maestro di allusioni furbesche e di raffinate simbologie, è diventato, via via, un meticoloso illustratore di nudi, tendenzialmente femminili ma non solo, ed un sistematico evocatore di amplessi. Non so quanto casualmente di fatto molto spesso si è impercettibilmente prima e percettibilmente poi avvicinato al cinema propriamente pornografico che sin dai tempi del muto, negli Stati Uniti, in Francia, e probabilmente anche in Germania, coltivò un mercato fiorente anche se nascosto e clandestino. In effetti il cinema, arte voyeuristica per eccellenza, si è gettata voluttuosamente nei varchi aperti dalla caduta di antiche frontiere, accontentando così un gran numero di spettatori e scontentandone altrettanti. E in qualche modo venendo incontro ai sogni di tanti produttori libertini degli anni ’20 e ’30 fino ad allora rispettosamente ingabbiati da ben altre convenzioni e convinzioni. E’ forse il maggior colpevole, ma non l‘unico. Pensi alla moda femminile ma anche maschile così come è illustrata da stilisti famosi e come viene riprodotta fedelmente da riviste un tempo goffamente perbeniste ed ora automaticamente aperte e registrare tutto, e quindi anche ai risvolti furbeschi e integrati del vivere quotidiano (quello che nel mondo intero, esclusi paesi e quartieri di rigida disciplina musulmana o ebraica, obbliga tutte la ragazze al di sotto dei trent’anni ad ostentare disciplinatamente l’ombelico scoperto). Comunque non diamo al cinema tutte le colpe: può darsi, è vero, che a momenti stimoli ed inciti, ma spesso registra e ripropone, in un gioco perenne di rimandi incrociati.


Noto che la vs/ bella rivista si occupa anche di personalità spezzine, e allora sarebbe carino ricordare una gloria locale come il forzuto per eccellenza “Galaor” ovvero Alfredo Boccolini, che contendeva a Maciste il primato. Grazie.ROBERTO SACCHI (Sp)

Cominciamo intanto a dire che era Alfredo Boccolini. Attingo alla voce che gli dedicò nell’oggimai dimenti= cato e prezioso “Film Lexicon degli autori e delle opere” - voluto da Fernaldo Di Giammatteo - Mario Quargnolo, attento ed appassionato studioso del cinema soprattutto muto, anch’egli scomparso (nel 2003). Boccolini era nato a La Spezia il 29 dicembre 1885. Forse perché aveva frequentato la scuola specialisti della Regia Marina, nel 1917 Augusto Genina lo fece esordire nel “Siluramento dell’ Oceania”, per l’Ambrosio di Torino. Va detto che il dimenticatissimo Genina (1892/1957) rappresentò qualcosa nel cinema italiano, muto e sonoro. Molti film sino a gli anni ’30, con grande successo. Nel ‘30 a Parigi firma “Prix de beautè” che , al di là dei difetti e grazie a Louise Brooks, segna un’epoca. Poi torna in Italia e dirige alcuni dei film più scaltri, seppur di decrescente sincerità, fra quelli ispirati dal Regime: “Squadrone bianco”, “L’assedio dell’Alcazar”, “Bengasi”. E nel dopoguerra terrà poi a battesimo una sorta di misticismo d’epoca con “Il cielo sulla palude”.
A Torino inizialmente Boccolini ebbe fortuna. Era alto quasi un metro e novanta e pesava 110 chili e quindi non casualmente venne prescelto per impersonare un personaggio avventuroso, appunto “Galaor”, da contrapporre ad un altro ligure, Bartolomeo Pagano, ben più noto di lui come “Maciste”(allora, almeno, al cinema i liguri erano forzuti). Per qualche tempo il personaggio gli portò fortuna e le cose andarono bene. Poi dopo il 1924 un decadimento progressivo lo coinvolse, sino a costringerlo a spettacoli sulle piazze, come una sorta di Zampanò. Nel 1956 ebbe un collasso in una camera d’albergo a Vladana (Mantova). E li morì. Va detto che la missiva del signor Sacchi è scritta a mano, su una sontuosa cartolina che riproduce un coloratissimo ritratto ad olio, ad opera di Martino van Meyens, di Maria Teresa imperatrice d’Austria, accompagnato da una didascalia entusiastica e bilingue. Confesso che la cartolina ha finito con l’intrigarmi ancor più del quesito su Boccolini e sarei molto curioso di sapere a che cosa si deve questa curiosa scelta absburgica.


La volta scorsa terminavo la rubrica con questa frase: “Come accade ad ogni puntata della rubrica ho ricevuto un messaggio dell’insostituibile Mario di Nervi. Questo in particolare depreca “La guerra dei mondi” di Spielberg e si schiera a favore del film di Byron Haskin del 1953, tratto dallo stesso romanzo di Wells di cui si è avvalso il regista di “Duel”. Se non sarà trascorso troppo tempo vorrei farne cenno la prossima volta, per vedere se qualche lettore condivide l’impressione del nerviese Mario, colonna portante de “La posta du DOC Holliday”.


(Film D.O.C., anno 13, n. 64, Set.-Ott. 2005)

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